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Processi e fasi della vinificazione biologica

viticoltura-organica-italia2Dire vino biologico è improprio perché tale presentazione del vino non è prevista né a livello comunitario né a livello nazionale. E’ invece possibile una presentazione che indichi che il vino è stato elaborato a partire da uve ottenute con metodi di produzione biologica. 

Il vino risente meno di altri prodotti della necessità di una differenziazione dalla pratica produttiva tradizionale. Tutto il vino elaborato secondo le pratiche enologiche autorizzate in ambito comunitario, deve essere considerato un prodotto naturale. Il processo che porta dall’uva al vino è un esempio tipico di processo biologico, in quanto avviene attraverso il metabolismo di lieviti, di solito Saccharomyces Cerevisiae, e successivamente,in molti casi, di batteri lattici. Ritroviamo quindi forte consonanza con il termine “biologico” (dal greco bios=vita e logos=parola, ossia riferito a tutti gli esseri viventi,vegetali o animali).

L’uso dell’anidride solforosa nell’”enologia biologica” è tollerato. Storicamente l’anidride solforosa, come agente antimicrobico e antiossidante, ha consentito di ottenere vini più sani ed di maggiore serbevolezza. Ad oggi risulta ancora un prodotto di cui difficilmente si può fare a meno, da qui la “tolleranza” anche nell’ambito della produzione biologica. 

Invece la riduzione del suo tenore nel vino al consumo rimane tuttora un obiettivo prioritario da perseguire, sia nella produzione tradizionale, che, a maggior ragione, nel “biologico” (Simoni, 1995).
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Disciplinari di produzione.
Non vi sono normative che consentono di definire un “vino biologico”, ma vi sono disciplinari di produzione con precisi parametri di riferimento che impongono tecniche di coltivazione della vite e di trasformazione dell’uva, la cui applicazione consente di definire il prodotto finale “vino ottenuto con uve provenienti da agricoltura biologica”. 

Tali disciplinari sono inseriti nel sistema di controllo definito dal Regolamento 2092/91, nel quale sono definite le norme generali riguardanti l’etichettatura, gli standard di produzione, il sistema di controllo, le disposizioni relative all’importazione di prodotti biologici da paesi terzi, concimi, ammendanti e presidi sanitari consentiti per la lotta fitosanitaria.

A livello internazionale ci sono differenze tr le principali normative: quella europea e quella statunitense (tra le regolamentazioni che hanno valore legislativo) e le Norme Ifoam e le Linee Guida del Codex Alimentarius (che sono invece delle linee di indirizzo). 

Una commissione internazionale (la ITF, International Task Force on Harmonization and Equivalence in Organic Agriculture) lavora all’armonizzazione delle regole sulla produzione biologica nel mondo. Nella bozza del nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica, ancora in discussione, è comunque previsto esplicitamente l’inserimento della vinificazione.
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A complicare il quadro c’è poi la situazione italiana. Nel nostro paese, infatti, i vitivinicoltori biologici non hanno elaborato un disciplinare di vinificazione comune, come è avvenuto ad esempio in Francia, anche se in epoca molto recente. 

I disciplinari sulla vinificazione biologica, anziché da parte dei produttori e delle loro associazioni, sono stati elaborati dai principali organismi di controllo, il cui compito è in realtà quello di controllare l’applicazione del disciplinare stesso e non, in linea teorica, di redigerlo. Questa situazione è comunque il frutto dello sviluppo storico dell’agricoltura biologica in Italia per cui, dopo l’entrata in vigore della normativa europea nel 1991, si è giunti solo in un secondo momento alla completa differenziazione tra le attività di controllo e certificazione e quella delle organizzazioni dei produttori biologici. 

Associazioni e Organismi di controllo operanti nel biologico hanno definito disciplinari di produzione per la vinificazione. Il mancato rispetto di tali disciplinari consente ugualmente al vino di fregiarsi della dizione “vino ottenuto con uve provenienti da agricoltura biologica” se le uve sono state ottenute nel rispetto della normativa. Il rispetto dei disciplinari di vinificazione è invece associato a marchi di tipo volontario quali “garanzia AIAB” o “garanzia biologico AMAB”.

Per AIAB, l’agricoltura biologica non è solo un metodo di produzione, ma anche una scelta a favore della biodiversità e della tutela dell’ambiente, del rispetto delle condizioni di vita degli animali allevati e dell’impegno etico nei confronti di chi lavora in agricoltura: insomma un modello di sviluppo ecosostenibile.
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Stabilimenti di trasformazione: norme generali.
Oltre alle pratiche tecnologiche specifiche, i disciplinari riportano anche requisiti riguardanti gli stabilimenti di produzione, le procedure per l’individuazione la separazione delle partite di produzione biologica rispetto alla produzione tradizionale se presenti entrambe in stabilimento. Tale aspetto viene sottolineato, e deve essere considerato da aziende che trasformino anche prodotto tradizionale in quanto questo comporta separazione spaziale e temporale fra le due produzioni, con necessità quindi di una buona organizzazione dei flussi di materia prima e di semilavorato. 

Per quanto riguarda invece gli stabilimenti di produzione, oltre a richiamare il rispetto delle normative vigenti in materia agroalimentare, i disciplinari rimarcano anche la qualità, la pulizia e la manutenzione dei materiali costruttivi e degli impianti che vengono a contatto con il prodotto, specificando a volte i materiali e i detergenti ammessi. In particolare, come materiale viene esclusa la vetroresina, normalmente in uso nell’industria enologica, anche se in via di sostituzione con l’acciaio inox. 

   
Pratiche e trattamenti enologici.
I disciplinari riportano indicazioni vincolanti, sottolineando a volte come espressamente “vietate” pratiche comunemente ammesse dalla legislazione. Inoltre per quanto ammesso, in certi casi vengono anche indicate quali pratiche siano da preferire rispetto ad altre, con indicazione quali “ammesso” oppure “consigliato”. Per l’aumento della gradazione alcolica dei mostri, nell’ambito del biologico si devono privilegiare innanzitutto le pratiche agronomiche che consentano di ottenere uve con composizioni equilibrate. 

Se però si rendesse necessario ugualmente intervenire per aumentare il tenore zuccherino delle uve è ammesso l’utilizzo di mosto concentrato e MCR provenienti da uve ottenuto secondo il metodo di produzione biologica. I limiti imposti da una vinificazione biologica, rispetto a quanto legalmente ammesso,sono decisamente limitati. Per prodotti o pratiche non ammessi è possibile individuare altri prodotti ammessi ad attività analoga o pratiche enologiche idonee per ottenere il medesimo risultato, e quindi il processo può tranquillamente essere portato correttamente a termine. 

La microbiologia enologica: l’utilizzo di lieviti è ormai pratica consolidata e ammessa anche nei disciplinari biologici, cosi come l’utilizzo di sali d’ammonio (in particolare fosfato di ammonio e solfato di ammonio), tiamina, scorze di lievito per favorire lo sviluppo di una corretta fermentazione. 

Anche l’uso di batteri selezionati è stato rapidamente ammesso nel biologico dopo essere stato autorizzato dalla legislazione. I disciplinari non sono quindi normative rigide,ma devono seguire costantemente lo sviluppo della ricerca enologica. A proposito di questa ultima considerazione deve essere valutato anche il possibile impiego del lisozima, recentemente autorizzato all’impiego, che potrebbe contribuire a ridurre i dosaggi di anidride solforosa per il suo effetto di contenimento della carica batterica. 

L’aggiunta di lieviti intesi come fecce fresche da aggiungere al vino, per favorire l’affinamento grazie ai processi di lisi cellulare, è praticamente ammessa e, se ben condotta, in grado di contribuire positivamente alla qualità del vino. La legge ammette anche l’uso dell’anidride carbonica come additivo per la produzione di vini gassificati,ma è ovvio e condivisibile che questa tipologia non venga assolutamente presa in considerazione nella produzione “biologica”. 

Chiarificazione e stabilizzazione: la chiarificazione (illimpidimento) può essere ottenuta con mezzi fisici: centrifugazione e filtrazione, con o senza coadiuvante di filtrazione inerte.
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Numerosi sono i prodotti per uso enologico utilizzati con la finalità di chiarificare e stabilizzare il vino. Tali interventi possono essere effettuati in qualsiasi momento del processo. Vengono ammessi dal disciplinari: gelatina alimentare, colla di pesce, caseina e caseinati di potassio, ovalbumina, bentonite, diossido di silicio, caolino, tannino. A volte parte dei divieti posti dai disciplinari sui prodotti ad uso enologico non riguardano il prodotto in se,ma particolari formulati. Un esempio è la gelatina, per cui viene vietata la gelatina in forma liquida, per la composizione e gli stabilizzati presenti, ma risulta pienamente ammessa la gelatina forma polverulenta o in scaglie. 

Vietato dai disciplinari è l’uso del carbone, ma deve essere ricordato come questa sia in realtà una pratica generalmente correttiva o comunque conseguente a pratiche enologiche non ottimali per una vinificazione di qualità. Il carbone riduce eventuali anomalie contemporaneamente sottraendo anche caratteri qualitativamente positivi. 

Vietato dai disciplinari è anche l’uso di polivinilpolipirrolidone, ma altri prodotti come ad esempio chiarificanti naturali possono svolgere un’azione analoga. Ai fini della chiarificazione dei mosti e dei vini interessanti sono gli enzimi, che svolgono anche altre funzioni tecnologiche con positivi effetti sulla qualità dei vini. La legislazione e i disciplinari ammettono l’uso di enzimi pectolitici,che intervengono sulle pectine favorendo l’estrazione dalle vinacce e l’illimpidimento di mosti e vini, e l’uso di betaglucanasi per la degradazione di lucani, in particolare provenienti da uve colpite da Botrytis Cinerea. Vietato è l’uso del ferrocianuro di potassio. 

Si ribadisce come la presenza di eccessi di metalli sia generalmente conseguente ad arricchimenti dovuti al contatto con materiali non perfettamente inertizzati. La diffusione dell’impiantistica in acciaio inox sta però praticamente superando questo problema. La correzione dell’acidità: il processo di maturazione dell’uve non sempre raggiunge condizioni ottimali di equilibrio compositivo. Cosi, come talvolta è necessario intervenire per arricchire il grado zuccherino, altre volte può essere necessario agire sul mosto o sul vino per modificare l’acidità. Le pratiche di acidificazione e disacidificazione sono quindi ammesse,definendo i prodotti utilizzabili. Per l’acidificazione è ammesso dalla legislazione e dai disciplinari il solo acido tartarico.
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Per la disacidificazione sono ammessi da soli o in formulati misti tartrato neutro di potassio e carbonato di calcio. La legislazione ammette anche l’uso di bicarbonato di potassio e tartrato di calcio che trovano invece limitazioni in alcuni disciplinari. Antiossidanti e antimicrobici: i “conservanti” utilizzati nel vino possono avere azione antimicrobica oppure svolgere funzione di protezione dalle ossidazioni. 

L’anidride solforosa, che svolge entrambe le azioni, è ad oggi ancora considerata insostituibile. I disciplinari biologici ne ammettono l’uso,riducendo però i limiti consentiti nel prodotto al consumo. Con attività antiossidante la legislazione e i disciplinari ammettono l’uso di acido citrico e acido L-ascorbico. Con attività antimicrobica la legislazione ammette l’uso di acido sorbico o sorbato di potassio. 

L’utilizzo dell’acido sorbico per ridurre il rischio di rifermentazione in bottiglia nei vini dolci può essere vitato con una moderna linea tecnologica di riempimento, completa di sistemi di lavaggio e sterilizzazione delle bottiglie e dell’impianto di riempimento e di sistema di microfiltrazione sterilizzante del vino. Inoltre, non essendo ammessi dai disciplinari trattamenti termici di stabilizzazione microbiologica del vino, ovvero la pastorizzazione,la microfiltrazione sterilizzante a freddo risulta l’unica corretta pratica applicabile. 

Le precipitazioni tartariche: la qualità commerciale di un vino prevede che non debbano verificarsi precipitazioni in bottiglia, per cui si deve intervenire anche per prevenire la formazione di Sali di acido tartarico che diano origine a cristalli sul fondo della bottiglia. I possibili interventi sono i seguenti : 

Aggiunta di bitartrato di potassio e/o di tartrato di calcio per favorire la precipitazione del tartrato,ammesso anche dai disciplinari. Tale aggiunta viene generalmente effettuata in sinergia con basse temperature (prossime al punto di congelamento del vino). L’uso di acido racemico per la precipitazione del Calcio non è ammesso dai disciplinari biologici.
  • Aggiunta di composti che inibiscono la precipitazione, ed in particolare la gomma arabica (ammesso nel biologico) e acido metatartarico (ammesso solo da alcuni disciplinari). A livello tecnologico deve essere considerato che la pratica della stabilizzazione a freddo con i cristallizzanti sopra indicati, coadiuvata dall’aggiunta di gomma arabica in bottiglia,può rendere non necessario l’impiego di acido metatartarico.
Una citazione deve essere fatta a proposito del solfato di rame, ammesso dalla legislazione e non dai disciplinari, per l’eliminazione di difetti di gusto o di odore del vino. Si tratta del difetto definito “odore di ridotto”, che può derivare da fermentazioni condotto da lieviti non idonei o da tardive azioni di illimpidimento e pulizia dei vini. Solo una cura e un controllo costante sul vino consentono di evitare problemi o di intervenire tempestivamente con travasi e filtrazioni. 
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Conclusioni.
Si può affermare che la coltivazione dell’uve da vino con tecnica biologica può rappresentare per taluni ambiti territoriali una valida alternativa alla coltivazione convenzionale. 

Soprattutto nell’attuale momento in cui il consumatore è alla ricerca di prodotti alimentari particolari, che rispondano a determinate esigenza di “qualità, sicurezza alimentare e tracciabilità”, la coltivazione biologica può rappresentare una adeguata risposta. Si aggiunga poi che il consumatore, pur di avere queste garanzie, è disposto a pagare di più, per cui l’agricoltore trae anche il vantaggio di poter offrire sul mercato un prodotto a più alto valore aggiunto, con indubbi vantaggi per il suo reddito netto e per il collocamento della produzione. In un futuro ormai prossimo le nostre produzione vitivinicole dovranno confrontarsi non soltanto con quelle caratterizzate dalla presenza di un materiale genetico estraneo ma con quelle provenienti da Paesi caratterizzati da costi di produzione inferiori, da Paesi che non hanno eccessive restrizioni nell’utilizzazione di terminati prodotti chimici, siano essi concimi e/o antiparassitari o fitoregolatori, ecc., da Paesi nei quali il lavoro minorile non è tutelato, o addirittura incentivato e/o sfruttato.

Tutto ciò comporterà la realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti alimentari, un mercato dove l’imperativo sarà produrre di più (non importa con quale materiale genetico, non importa con quali metodi, non importa in quali Paesi) ai più bassi costi possibili, per poi vendere i prodotti ottenuti sui mercati dove ci sono i capitali per acquistarli. Ciò che andrà verificato nel lungo periodo è se il processo di globalizzazione dei mercati può rappresentare per la vitivinicoltura del nostro Paese un’opportunità o, al contrario, una strada pericolosa, che potrebbe determinare effetti dannosi per il benessere della nostra società. Le opportunità sono legate soprattutto alla possibilità di poter ampliare le esportazioni verso altri Paesi consumatori. A questo proposito occorre però rilevare che i prezzi delle nostre produzioni, in relazione ai maggiori costi di produzione sono, in genere, superiori a quelli dei prodotti simili offerti sul mercato mondiale. In questo contesto occorre rilevare che:
  • è illusorio pensare di poter competere con le altre aree di produzione con i medesimi prodotti, sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita sul mercato;
  • non convince il fatto di pensare che le altre aree mondiali non riusciranno a produrre vini di qualità;
  • occorre differenziare (nei prodotti, nel confezionamento e nei metodi di produzione) la nostra offerta, al fine di consentire al consumatore una scelta consapevole;
  • occorrerà valorizzare il nostro sistema Paese, lavorando soprattutto su qualità, sicurezza alimentare e tracciabilità, in quanto saranno questi gli elementi in grado di determinare, almeno nel breve periodo, valore aggiunto per i prodotti della nostra vitivinicoltura.
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