Nati in oriente si sono diffusi al seguito degli Arabi in Spagna e da qui in America. Ottimi negli stati di convalescenza e per contrastare la decalcificazione ossea.

I datteri sono uno dei frutti più ricchi di glucidi, possono arrivare a contenerne fino al 70%.

Essi sono coltivati da più di 4000 anni nelle zone desertiche del Nord Africa e del Medio Oriente. L'albero del dattero è una palma, i frutti oblunghi, di colore scuro, crescono su fitti grappoli che possono pesare fino a 15 kg.

Solo nel Medio Evo ha inizio la sua diffusione, con gli arabi che la portarono nelle regioni calde del sud e dell'est della penisola iberica e in seguito con i conquistatori spagnoli raggiunse l'America. La palma da dattero e' una pianta ricca di significati simbolici: per gli Egiziani era un simbolo di fertilita', per i Greci fonte di fortuna e prosperita', gli antichi romani usavano donare un ramo di palma agli attori piu' bravi, agli aurighi e ai gladiatori, per i Cristiani, le foglie delle palme sono tuttora un simbolo di pace. Si narra che l'imperatore Augusto amava moltissimo i datteri e la prima palma nata a Roma ebbe origine da un seme gettato dalla mensa dell'imperatore.

Nei paesi medio-orientali questa pianta e' ancor oggi quasi venerata dalle popolazioni indigene per i suoi molteplici impieghi: i frutti nutrono i popoli nomadi durante le traversate nel deserto, per questo sono denominati “nettare del deserto”, le sue foglie sono utilizzate per costruire capanne, panieri, cordami, cappelli e stuoie. Da essa si ricava, una volta fermentata la sua linfa anche il “vino di palma”.

Ma strano a dirsi uno dei maggiori produttori mondiali di questi frutti, e' la California. La palma da dattero, con un tronco diritto e ruvido puo' raggiungere i 20 metri d'altezza. Produce frutti oblunghi di colore scuro che crescono su fitti grappoli che possono arrivare a pesare fino a 15 kg. Ogni albero produce fino a 270 kg. di datteri l'anno. La maggior parte dei datteri e' fatta seccare al sole in modo da aumentare la concentrazione di zuccheri, essi diventano cosi' piu' dolci, si conservano piu' a lungo, e sono disponibili tutto l'anno.

Il dattero dal greco daktilos (pron. dactilos) che significa dito, ha una polpa carnosa e molto zuccherina (per il 66% di glucosio e fruttosio) e all'interno custodisce un piccolo seme legnoso I frutti sono fra i piu' ricchi di minerali: grandi fornitori di potassio, ferro, magnesio, fosforo e calcio oltre a rame, zinco e manganese. Contengono inoltre le vitamine del gruppo B, soprattutto B1, B2, e B6.

I 3/4 della produzione mondiale è situata in medio oriente, ma vengono anche coltivati in Nord Africa (soprattutto in Tunisia) e in california.


Varietà di datteri.

Le varietà più coltivate sono Majhool, Deklet noor, Ameri, Deri, Halawi e Zahidi, Berhi and Hiann.

Disponibilità dei datteri.
Quasi tutti i datteri vengono fatti seccare al sole, in modo tale da aumentare la concentrazione degli zuccheri. In questo modo diventano più dolci e si conservano più a lungo. Questa caratteristica li rende disponibili tutto l'anno.

Alcune varietà (la Berhi e la Hiann) vengono invece commercializzate fresche.

I datteri secchi si presentano più scuri e grinzi, di forma oblunga irregolare, quelli freschi sono lisci e perfettamente cilindrici.

Guida all'acquisto dei datteri.
I datteri più diffusi, purtroppo, sono quelli della grande distribuzione, di provenienza tunisina.

Questi datteri sono di bassa qualità: piccoli come calibro e poco dolci sebbene siano addizionati con sciroppo di glucosio. Sono confezionati nella classica confezione di plastica, attaccati a un finto ramo di plastica.

Fortunatamente è sempre più facile trovare i datteri di qualità, tunisini, israeliani e californiani.
I migliori sono senza dubbio quelli di Israele, molto grossi, scuri, morbidi e dolcissimi. Il costo è molto più elevato (dai 12 ai 18 Euro al kg), ma dato che il consumo di questi frutti ipercalorici deve essere saltuario e in piccole quantità, pensiamo che valga la pena spendere qualcosa di più per un prodotto di tutt'altra categoria.
Datteri Majhool
Preparazione dei datteri
I datteri si possono mangiare da soli, nei dessert, oppure con i formaggi, associazione che consigliamo vivamente di provare. Ottimi con tutti i formaggi saporiti: caprini, formaggi blu (gorgonzola, roquefort, stilton, ecc.), pecorini stagionati, ecc.

I datteri in cucina:




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La pianta di Kaki (Diospoyros kaki, cachi o loti nel linguaggio comune) é originaria della Cina. I primi a coltivarlo in modo intensivo furono i giapponesi, in Europa invece é arrivato alla fine del Settecento, originariamente solo come pianta ornamentale.

L'impiego del cachi come albero da frutta ha origine nel 1860, prima in Francia e poi in Italia, grazie all'importazione dal Giappone di alcune varietà adatte allo scopo.

Varietà di cachi.


Il cachi è un frutto tipicamente autunnale.

I frutti del caco comune hanno una polpa dolcissima, morbida e cremosa. Di solito vengono raccolti leggermente acerbi e fatti maturare in seguito (operazione denominata 'ammezzimento'), per eliminare il tipico effetto astringente al palato provocato dall'elevato contenuto di tannini.

Durante la meturazione il contenuto di tannini dei cachi si riduce e aumenta quello di zuccheri, rendendoli molto gradevoli al palato.

Esiste anche un'altra varietà, chiamati cachi vaniglia o cachi mela, che hanno una polpa soda e croccante simile a quella delle mele. Sono più pratici da mangiare (basta sbucciarli e tagliarli a fette, senza il rischio di sporcarsi), e leggermente meno dolci.

Valori nutrizionali dei cachi.
I cachi devono la loro dolcezza a una quantità notevole di zuccheri (16%) e alla loro consistenza morbida e cremosa che esalta in bocca la loro dolcezza. Questa caratteristica purtroppo diminuisce l'indice di sazietà e quindi occorre valutare sempre con attenzione le quantità assunte per non esagerare con le calorie.
Un caco può pesare ben 250-300 e quindi può arrivare ad avere fino a 200-250 kcal.

I cachi contengono una buona quantità di vitamina A e discrete quantità di vitamina C.



Acquisto e conservazione dei cachi.
I cachi maturi si conservano per pochi giorni, quindi è bene acquistarli non ancora leggermente acerbi e farli maturare in casa a temperatura ambiente. Per accelerare la maturazione si possono lasciare vicino a frutti che sviluppano etilene, come le mele e le pere. I cachi maturi sono molto delicati e quindi è opportuno acquistarli nelle tipiche confezioni di polistirolo o di cartone dove ognuno è alloggiato in un vano apposito.

Botanicamente il genere Diospyros appartiene alla famiglia delle Ebenacee, che comprende circa 300 specie tutte di origine asiatica subtropicale. Per la coltivazione rivestono importanza solo alcune:

    * D. kaki, coltivato per la produzione di frutti per il consumo fresco;
    * D. lotus e D. virginiana usati come portainnesti e nell'industria di trasformazione;
    * D. oleifera e D. glaucifolia che sono usati per l'estrazione di tannino.

Gli alberi di D. kaki sono a foglia caduca, con altezza fino a 15-18 m ma di norma mantenuti con potature a più modeste dimensioni. Le foglie sono grandi, ovali allargate, glabre e lucenti. Nelle forme allevate per il frutto si riscontrano solo fiori femminili essendo gli stami abortiti, e la fruttificazione avviene spesso per via partenocarpica o in seguito ad impollinazione da parte di alberi della stessa specie provvisti di fiori maschili.

I frutti sono costituiti da una grossa bacca tendenzialmente sferoidale, talora appiattita e appuntita di colore giallo-aranciato, normalmente eduli solo dopo che hanno raggiunto la sovramaturazione e sono detti ammezziti (con polpa molle e bruna).

La preponderante consuetudine di coltivare piante fruttificanti in maniera partenocarpica non esclude la possibilità della esistenza di cultivar che hanno completamente o parzialmente la proprietà di produrre frutti ottenuti da fecondazione, spesso già eduli alla raccolta; questi frutti, ovviamente provvisti di semi, hanno polpa bruna, soda. Esistono anche kaki che producono frutti partenocarpici non astringenti, quindi già pronti per il consumo fresco al momento della raccolta allo stato apparente di frutto immaturo (duro). I frutti commestibili alla raccolta sono detti kaki mela.

I frutti del D. lotus sono piccoli, sferoidali, pruinosi, di colore giallo-bruno a completa maturazione; possono essere gamici ( con frutti fecondati) o partenocarpici. I semi, quando presenti, sono piccoli, reniformi con superficie di colore bruno chiaro. I frutti del D. virginiana sono relativamente piccoli, ovoidali con polpa leggermente astringente ma dotata di un caratteristico aroma che ricorda quello del dattero. I semi sono reniformi di colore bruno scuro. Il Diospiro fruttifica sulle gemme miste portate dai rami misti e dai brindilli. Ogni gemma mista origina, alla chiusura, un germoglio che all'ascella delle foglie basali porta i fiori. La differenziazione dei primordi fiorali avviene dai primi di luglio ai primi di agosto, quando sono evidenti gli abbozzi dei petali. L'evoluzione del fiore si arresta nel periodo autunno-invernale, per poi riprendere al risveglio vegetativo con il completamento degli organi fiorali. La fioritura avviene verso metà di maggio ed è seguita da una cascola dei frutticini non allegati, che raggiunge l'intensità massima nel mese di luglio.


Coltivazione.

Si distinguono oltre che per le caratteristiche vegetative (vigoria, produttività forma dei frutti) anche per il loro comportamento a seguito della impollinazione. La classificazione pomologica dei frutti di diospiro è determinata dagli effetti dell'impollinazione sulle caratteristiche organolettiche dei frutti al momento della raccolta e, su tale base, le cv possono essere suddivise in due gruppi principali:

   1. Costanti alla fecondazione(CF)-Coltivazione con frutti che mantengono la stessa colorazione della polpa (costantemente chiara) sia nei frutti fecondati sia in quelli partenocarpici.
   2. Variabili alla fecondazione(VF)-Coltivazione con frutti che modificano le caratteristiche della polpa che risulta chiara e astringente nei frutti partenocarpici, mentre diviene più o meno scura e non astringente in quelli fecondati.

Sulla base di questa classificazione ci sono cultivar che producono frutti costantemente astringenti, non eduli alla raccolta (Yokono, Sajo); altre costantemente non astringenti con frutti eduli alla raccolta ('Hana fuyu', 'Jiro', 'Izu', 'Suruga'); cultivar variabili all'impollinazione, con frutti gamici (da fecondazione e con semi) eduli alla raccolta (kaki-mela) e frutti partenocarpici non eduli alla raccolta ('Wase', 'Triumph').

Coltivazioni diffuse in Italia:

    * Loto di Romagna
    * Vaniglia della Campania
    * Fuyu
    * Kawabata
    * Suruga


I cachi in cucina:




Ricerca personalizzata

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I vini della Valle d'Aosta DOC, DOCG e IGT sono un vero regalo della natura in quanto frutto della passione per la viticoltura in un terreno come quello valdostano impervio e difficile da coltivare.

I vini valdostani sono coltivati su una superficie di circa 600 ettari ragion per cui i vini prodotti in Valle d'Aosta non possono vantare certo una produzione quantitativamente imponente.

I vini della Valle d'Aosta sono caratterizzati comunque da una qualità medio-alta. Il lavoro necessario alla produzione del vino è comunque di natura esclusivamente manuale in quanto la presenza delle macchine nei vigneti è ostacolata dalla particolare conformazione dei vigneti spesso e volentieri situati su rupi scoscese.

I vitigni che danno luogo ai vini della Valle a'Aosta.

 Il vitigno autorizzato e raccomandato più famoso della Valle d'Aosta è senza dubbio il Blanc de Morgex che riesce a resistere anche ad una altitudine di 1100 metri dimostrando un attaccamento alla propria terra che non ha eguali. Altri vini DOC presenti sono il Petit Rouge ed il Nebbiolo.

Il vino valdostano, una tradizione lunga secoli.

I vini in Val d'Aosta prendono origine dai Salassi, un popolo insediatosi in epoca pre-romana lungo le sponde della Dora Baltea nel territorio del Canavese. Nel medioevo i vigneti furono mantenuti intatti e produttivi dal lavoro dei monaci benedettini visibile ancora oggi nei pergolati superstiti.

La coltura della vite era piuttosto florida, anche se le testimonianze pervenute non ci permettono di conoscere i vitigni coltivati dai coloni. Le invasioni barbariche causarono un progressivo abbandono delle superfici vitate e solo le specie più resistenti hanno superato il trascorrere dei secoli. Durante i regni dei Burgundi, dei Franchi e dei Savoia furono gradualmente introdotte diverse varietà, definite “tradizionali”; l’importazione, prevalentemente dal Piemonte e dalla Francia, si fece più consistente sulla fine dell’Ottocento dopo le devastazioni procurate dall’oidio, dalla peronospora e dalla fillossera, obbligando i vignerons valdôtains a ricorrere agli innesti.
La DOC VALLE D'AOSTA o VALLÉE D'AOSTE copre tutta la produzione regionale, suddivisa in 7 sottozone da ovest a est:

· BLANC DE MORGEX ET DE LA SALLE
· ENFER D'ARVIER
· TORRETTE
· NUS
· CHAMBAVE
· ARNAD MONTJOVET
· DONNAS


Il patrimonio autenticamente valdostano conta oggi Tredici vitigni Autoctoni, che costituiscono quel modesto ma significativo legame genetico con l’antica viticoltura degli agricolae romani; di questi, dodici sono a bacca rossa, uno a bacca bianca. La varietà a bacca bianca è il Prié, presente un po’ in tutto il fondovalle ma in coltura specializzata nella sola zona di Morgex e La Salle: denota una buona resistenza al freddo e una maturazione particolarmente precoce.

Sei sono le qualità rosse più diffuse. Il Petit Rouge, tipico della media Valle, è uno dei vitigni attualmente più coltivati e genera un vino dal gusto vellutato e di discreta alcolicità. Il Vien de Nus, diffuso soprattutto nell’omonimo comune, vanta un notevole adattamento ambientale. Dal Fumin, erroneamente assimilato alla Freisa, si ricava il Vallée d’Aoste DOC Fumin, vino da gustare invecchiato, poiché migliora col tempo le proprie qualità organolettiche. Il Cornalin (o Corniola), il cui areale si estende da Arnad ad Arvier e il cui frutto produce un vino di pregio, di acidità poco elevata e dal profumo intenso.

È stato esportato nel Vallese (Humagne Rouge) intorno agli anni Quaranta. Tra Aosta e Avise si trova il Mayolet, che matura precocemente e che si presta a una buona vinificazione. Il Ner d’Ala, conosciuto in bassa Valle anche come Gros Vien o Vernassa, origina un vino dal colore vivace e dal profumo speziato.

Più rare altre varietà, come il Vuillermin, la cui coltura è per ora circoscritta a Chambave e Châtillon, e la Prëmetta, con qualche vigneto in coltura specializzata tra Aosta e Saint-Pierre, che origina un vino di colore rosso chiaro, ma corposo. Piuttosto aspri sono invece i vini derivati dalla Crovassa, presente in pochi esemplari a Issogne e a Donnas, anche se è difficile attribuire a questo vitigno una sicura origine valdostana, e dal Bonda, ormai estremamente raro. Infine il Roussin, praticamente scomparso salvo qualche ceppo ad Arnad, le cui uve sono particolarmente tardive, e l’omonima varietà della Valdigne, il Roussin de Morgex.

Lodevole è l’opera compiuta, per custodire e valorizzare il germoplasma viticolo autoctono, dall’Institut Agricole Régional, che ha recentemente pubblicato su questo tema il libro “Vini e vitigni autoctoni della Valle d’Aosta” di Giulio Moriondo.


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1.- RISPARMIO.
Comprare piante di stagione: hanno un prezzo più con­veniente e si avrà, sempre la garanzia, che attecchiscano.

2.- QUANDO COMPRARE.
Evitare di comprare piante quando fa molto cal­do o molto freddo, soffrono ancor di più lo spostamento a causa degli sbalzi di temperatura.

3.- CENTRO SPECIALIZZATO.
Acquistare in un centro in cui vi sia personale spe­cializzato che sappia consigliare sulle piante e sulle cure di cui hanno bisogno, oltre ad avere la sicurezza di portare a casa un esemplare che è stato curato perfettamente.

4.- SCARTARE.
Eliminare dalla scelta le piante con fiori avvizziti o con foglie e steli danneggiati. Se gli steli sono deboli, non comprarle.

5.- MEGLIO COMPATTE.
Non comprare piante con steli molto lunghi, sottili e nudi o che siano coperti da foglie di for­ma diseguale.

6.- TERRA UMIDA.
La terra deve essere umida e pulita, senza macchie bianca­stre o muffa, nel qual caso significherebbe che è stata annaffiata in eccesso.

7.- PARASSITI.
Osservare la parte inferio­re delle foglie per verificare l'eventuale presenza di insetti o parassiti.

8.- PIANTE IN FIORE.
Gli esemplari da fio­re devono avere molti boccioli in fase di apertura. Sopravvivranno meglio rispetto a una pianta con tutti i boccioli aperti anche se all'inizio sembreranno più belli.

9.- METTITI AL LORO POSTO Assicurar­si che le piante si acclimateranno al luogo in cui le si collocherà, in casa, in terrazza o in giardino.

10.- HANNO BISOGNO DI TEMPO.
Le piante hanno bisogno di alcune settimane per acclimatarsi. In linea di massima, collocarle in un luogo fresco.

11.- CONCIME.
Le piante appena com-I prate potranno essere concimate solo dopo sei settimane. Le annuali non hanno bisogno di concime se devono es­sere gettate via.

12.- TRASPORTO.
Proteggere bene la tm pianta durante il trasporto dal vivaio a casa. Lo spostamento, il movimento e le frizioni provocano stress alla pianta. Evitare le ore più calde o quelle più fredde.

13.- SBALZI DI TEMPERATURA.
Una volta a casa avrà bisogno di un po' di tempo per acclimatarsi, è quindi normale che perda qualche foglia. Se si è fatta una buona scelta ed è ben curata, si riprenderà.

14.-ESEMPLAR! DA INTERNI.
Per l'inter­no, la cosa migliore è scegliere piante che siano state curate in serra, abituate alle condizioni degli interni delle case.

15.- PIANTE IN VASO.
È il modo più J comune di comprare piante. Nel prezzo è incluso il prezzo del vaso, di conseguenza risultano sempre più care rispetto a quando si comprano in zolla o a radice nuda.

16.- CON ZOLLA.
È quando la pianta viene estratta dal terreno e viene venduta con le radici coperte da un bloc­co di terra avvolta in una plastica o rete. Verificare che la zolla sia umida. Piantarla in una cavità più grande della zolla perché le radici hanno bisogno di espandersi una volta piantate.

17.- RADICE NUDA.
La pianta si presenta con le radici pulite dalla terra, senza zolla. In genere è più economica di
un 50% ma è consigliabile comprare soltanto piante forti.

18.- ANNUALI E VIVACI.
Acquistare gli esemplari con fiori di stagione nelle prime fasi dllo sviluppo. Queste piante crescono con rapidità e se sono state coltivate senza fiori avranno il tempo di acclimatarsi e migliorare le fioriture succesive.

19.- PRIMAVERA - ESTATE,
Acquistare piante picoole, all'inizio di ogni stagione. Se si acquistano quando non hanno ancora i fiori o con i boccioli chiusi avranno tempo di crescere e si godrà di una fioritura più abbondante e duratura.

20.- AUTUNNO - INVERNO.
Acquistare esemplari a radice nuda di rose, alberi ornamentali, alberi da frutta, arbusti a foglia caduca. Anche i semi sia di esemplari da fiore che di piante per l'orto.


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Ultimi post pubblicati

Salute & Benessere

Non possiamo certo elencare tutti i prodotti tipici e le ricette tradizionali dell'Italia, ma racconteremo qualche curiosità su prodotti più o meno noti a tutti.

Il Caffè o meglio, 'l'espresso', ha delle peculiarità che lo rendono unico: innanzitutto è 'poco' circa metà di una tazzina se è normale, anche meno se è 'corto', una tazzina colma se è 'lungo'; presenta la caratteristica schiuma, il cui colore, dal beige al marrone, dipende dalla miscela usata. Si può bere 'nero' o 'macchiato', cioè con l'aggiunta di poco latte caldo o freddo e amaro o zuccherato a piacere. Se possedete una macchina per l'espresso non sarà difficile avere un ottimo caffè anche a casa: la giusta quantità di una buona miscela, con la macinazione adatta ed adeguatamente pressata nel filtro, una tazzina, meglio se calda, ed il gioco è fatto. In Italia, nelle case, è molto usata anche la 'caffettiera' o 'moka' che permette di ottenere più tazzine contemporaneamente (1-2-3-6-8-12-24), il caffè non ha schiuma, ha un gusto più delicato, ma contiene più caffeina dell'espresso in quanto l'acqua resta per più tempo a contatto con la miscela. Qualche informazione nutrizionale: una tazzina di caffè espresso contiene da 60 a 100 mg di caffeina e solo 2 calorie; i nutrizionisti consigliano di non superare la 4 tazzine al giorno, proprio per non ingerire troppa caffeina che, in dosi contenute, è invece benefica.


Il Torrone tipico dolce di Cremona, uno dei simboli della città, il torrone vanta una precisa data di nascita, almeno per il torrone così come è arrivato ai giorni nostri. Il dolce che deve il proprio nome al "Torrazzo", la più alta torre campanaria in muratura d'Europa, nacque il giorno del matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza; il cuoco di corte impastò mandorle, miele, nocciole, scorze di limone, albumi montati a neve e canditi, racchiuse l'impasto in una cialda sottile e gli diede la forma del Campanile simbolo della città.

Il Parmigiano Reggiano formaggio da tavola o da grattugia, il Parmigiano viene prodotto, come suggerisce il nome, in Emilia Romagna, ma anche in una ristretta zona della Lombardia nei pressi di Mantova. Il latte proviene da allevamenti selezionati, dove le vacche vengono nutrite solo con foraggio verde, mangimi secchi e fieno di prato, è poi sottoposto a lavorazione artigianale, durante la quale è assolutamente bandito l'utilizzo di additivi o conservanti ed a un periodo di stagionatura di circa 15-18 mesi nelle caratteristiche 'scalere'. Il prodotto è eccellente, sia per le proprietà organolettiche che nutrizionali: alti valori nutritivi, basso contenuto di colesterolo, nessuna traccia di lattosio, ottima digeribilità ed un'aroma che lo rende perfetto sulla tavola ad accompagnare primi piatti, salumi, prodotti da forno, frutta, miele e verdure. Il formaggio Parmigiano Reggiano è un prodotto a Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.); solo il formaggio prodotto secondo le regole raccolte nel Disciplinare di produzione può fregiarsi del marchio Parmigiano Reggiano e quindi deve riportare sulla forma la marchiatura atta a identificare e distinguere il prodotto.


Il Grana Padano. La nascita del Grana Padano risale agli albori del secondo millennio, epoca in cui i monaci Cistercensi bonificarono una vasta area della pianura Padana. La creazione di vasti appezzamenti di terreno riservati a pascolo incrementò la produzione di latte che rischiava di restare in larga misura inutilizzato. I monaci si preoccuparono quindi di perfezionare la 'ricetta' del Grana Padano che consentiva di utilizzare grandi quantitativi di latte mantenendone inalterate le proprietà nutritive e garantendone una lunghissima conservazione. Queste caratteristiche ne favorirono in breve tempo il diffondersi sulle tavole dei nobili e del popolo ed il commercio nelle zone limitrofe. La lavorazione del latte per la sua trasformazione in Grana, divenne in breve tempo una delle colonne portanti dell'economia agricola ed il processo è stato tramandato inalterato nei secoli fino a noi. Per preservare il 'buon nome' del formaggio Grana e le sue caratteristiche, nel 1954 venne costituito il Consorzio per la tutela del formaggio Grana Padano e successivamente, un anno dopo, un Decreto ne sancì la Denominazione di Origine Controllata. Ora il Grana è anche un formaggio D.O.P., cioè a Denominazione d' Origine Protetta. Ma perché è un formaggio unico? Le mucche il cui latte è destinato alla produzione del Grana vengono selezionate, controllate ed alimentate solo con foraggi e miscele di cereali e leguminose. La lavorazione segue le fasi tradizionali e la stagionatura è seguita e controllata per almeno 12 mesi. Il Grana è definito un formaggio semigrasso, in quanto il latte viene parzialmente scremato nella prima fase di trasformazione. Durante la stagionatura, inoltre, gli enzimi operano una sorta di "digestione" che rende il Grana un alimento adatto a bambini ed anziani, nonché alle donne in gravidanza e durante l'allattamento, per l'alto potere nutritivo e l'ottima digeribilità. Vale la pena menzionare alcune delle caratteristiche nutrizionali di questo alimento: per ottenere 1 chilo di Grana sono necessari 15 litri di latte, ciò significa che in 30 grammi di formaggio si concentra il nutrimento apportato da mezzo litro di latte. Con 50 grammi al giorno di grana un adulto si assicura il 50% del fabbisogno giornaliero di calcio, con un apporto di soli 70 milligrammi di colesterolo, nonché proteine quante ne assumerebbe con una bistecca di bovino di quasi 100 grammi. E' quindi chiaro il motivo per cui si può considerare il Grana Padano una specialità di cui il nostro paese può essere fiero.

Il Crudo di Parma. Il termine 'prosciutto', deriva dal latino e significa letteralmente 'asciugato'; è infatti la stagionatura lunga e curata che dona al prodotto caratteristiche uniche. La zona di produzione del Prosciutto di Parma è quella che meglio può garantire le condizione climatiche perfette per la stagionatura, così da poter ricevere il riconoscimento internazionale di D.O.P. (Denominazione d'Origine Protetta). Al fine di tutelare la qualità del prodotto, nacque, quasi quarant'anni fa, il Consorzio del Prosciutto di Parma, così da salvaguardare le caratteristiche ed i metodi di lavorazione. I maiali le cui cosce daranno il prosciutto vengono allevati e nutriti con criteri molto rigidi in 11 regioni del centro-nord Italia: il prosciutto di Parma è per definizione privo di coloranti e conservanti, si può definire "dolce" perché la quantità di sale utilizzata per la salatura delle cosce è quella minima indispensabile e non viene aumentata per accelerare i tempi di stagionatura. Infatti è il tempo, insieme alle abili mani dei maestri prosciuttai, a garantire la bontà del prosciutto: dopo 12 mesi di stagionatura in ambienti con il perfetto microclima, la coscia viene sottoposta al test della "spillatura" e solo i prosciutti che superano questo test verranno marchiati con la Corona Ducale a 5 punte, simbolo del Consorzio. Notevoli sono le caratteristiche nutrizionali del Prosciutto di Parma: privato del grasso visibile, a parità di peso, apporta una quantità di lipidi inferiore alla carne di bovino ed al petto di tacchino; essendo un prodotto totalmente naturale è adatto all'alimentazione anche dei più piccini, anche perché grazie alla stagionatura le sue proteine divengono più digeribili. Come assaporare al meglio il suo gusto? Lo si può abbinare a pane tostato e leggermente imburrato, al melone, ai fichi o anche a frutti esotici; è utilizzato nella preparazione di numerosi piatti, tradizionali e non. Si accompagna perfettamente con vini bianchi o rossi e, anche se un Lambrusco fruttato, una Malvasia secca o una Fortana dolce dei colli parmensi e piacentini sono i suoi compagni ideali, è abbinabile con successo a moltissimi vini regionali e, perché no, anche ad un calice di Champagne.


Il Pesto, tipico prodotto ligure, è una salsa utilizzata comunemente per condire la pasta (corta o lunga) o per insaporire altri piatti. Il pesto ha origini antiche: il basilico, pianta aromatica ingrediente principale della preparazione, è stato importato dall'Africa e dall'Asia tropicale ed ha trovato l'habitat ideale per la sua crescita in questa regione dal clima mite e con il terreno adatto. La ricetta originale del pesto prevede per la sua preparazione un mortaio in marmo bianco di Carrara nel quale si schiacciano, con un pestello di legno di bosso, le foglie di basilico con aglio, pinoli e sale; a seguire si aggiungono pecorino e parmigiano grattugiati ed infine l'olio extravergine d'oliva e si lavora fino ad ottenere una crema omogenea.


La Salsa di Noci, ottima per accompagnare paste fresche ed i tradizionali pansotti, è una versione "alle noci" del pesto genovese. Gli ingredienti infatti non si discostano molto fra le due preparazioni, fatta eccezione, ovviamente, per la sostituzione del basilico con i gherigli di noci. Non è di difficile preparazione anche casalinga; questi gli ingredienti necessari:
- 100 gr. di gherigli spellati di noci
- gr. 10 pinoli
- gr. 80 burro
- gr. 60 parmigiano grattugiato
- gr. 30 foglioline di basilico
- 2 spicchi di aglio
- olio extra vergine di oliva, sale e pepe bianco q.b.
Per la preparazione: abbrustolite in forno i gherigli di noce ed i pinoli. Metteteli ancora caldi in un mortaio e pestateli fino a ridurli in polvere. Fate soffriggere leggermente il burro in un tegame, aggiungetevi le noci ed i pinoli e mescolate, lasciando cuocere per 5 minuti.
Togliete dal fuoco ed unite il formaggio, il sale, il pepe bianco macinato fresco ed il basilico e l'aglio tritati finemente. Passate tutto al frullatore, unite due cucchiai di acqua bollente e azionate l'apparecchio per qualche minuto.
Nel frattempo fate scendere a filo l'olio fino a che la salsa non risulta fluida e scorrevole.


La Cipolla di Tropea è caratterizzata dal colore rosso dell’involucro e dalla forma leggermente allungata. Arrivò in Italia importata oltre duemila anni fa dai Fenici e da allora è coltivata in Calabria diventando nei secoli uno dei prodotti tipici della costa tirrenica della regione. L’insolita dolcezza al palato della “Rossa di Tropea” è dovuta al particolare microclima della zona caratterizzato da un inverno mite ed un’estate calda senza forti sbalzi termici, all’aria salmastra ed al terreno che fanno sì che la sua polpa si arricchisca di saccarosio, fruttosio e glucosio. Proprio il suo gusto particolare e delicato la rende perfetta per il consumo a crudo come ingrediente nelle insalate, essendo inoltre molto digeribile; l’apporto calorico è limitatissimo, solo 20 calorie per ogni 100 grammi di prodotto fresco. Le si trova in vendita sfuse, a peso o raccolte in trecce ed appese (questo metodo di conservazione ne garantisce la qualità per alcuni mesi).


La Pizza ha conquistato il mondo intero con la sua originale semplicità. Pasta di pane, passata di pomodoro e mozzarella, olio, origano o basilico: la Pizza Margherita è stata inventata, ovviamente, da un pizzaiolo napoletano, Raffaele Esposito, che la preparò per la regina Margherita, moglie di Umberto I re d'Italia, ispirandosi, per la scelta degli ingredienti, ai tre colori della bandiera italiana. La regina apprezzò, ancor più dello spirito patriottico, il sapore della nuova ricetta e così la nuova pizza prese il suo nome, era la fine del 1800 e da allora la fantasia dei pizzaioli italiani ha partorito decine e decine di tipi di pizze diverse, accostando agli ingredienti classici pesce, verdure, sott'oli, formaggi, salumi, uova e persino frutta, patatine fritte e maionese!!!

La Pasta: acqua, farina bianca e sale, basta poco per creare uno dei piatti più versatili della tradizione italiana; come la pizza, anche la pasta è stata esportata in tutto il mondo e come per la pizza la fantasia dei cuochi ha creato un'infinità di varianti: pasta lunga, corta, all'uovo, ripiena, lasagne al forno, condita con sughi semplici (classici gli spaghetti pomodoro e basilico o con soffritto di aglio, olio e peperoncino) od elaborati (Spaghetti alla Carbonara, Pizzoccheri Valtellinesi).

Il Gorgonzola è un formaggio assai antico, sebbene come vari altri prodotti alimentari di vecchia tradizione sia privo di un atto di nascita ufficiale. In compenso, ne ha molti di natura ipotetica-leggendaria.
Alcuni affermano che il gorgonzola sarebbe stato fatto per la prima volta, nella località omonima alle porte di Milano, nell'anno di grazia 879. Altri ancora dicono, invece, che la nascita ebbe luogo a Pasturo nella Valsassina, grande centro caseario da secoli, grazie alla presenza di quelle ottime grotte naturali la cui temperatura media è costante tra i 6 ed i 12° C e consente, pertanto, la perfetta riuscita del gorgonzola, così come di vari altri formaggi.
Il gorgonzola ed i suoi produttori, preoccupati di difendere il proprio prodotto, negli anni '50 si organizzano: la Legge 125 del 1954 regolamenta le produzioni d'origine e nel successivo decreto anche il gorgonzola, come il parmigiano reggiano, il pecorino romano ed altri formaggi italiani e stranieri, può fregiarsi della denominazione di origine controllata.
Nel 1970 nasce il Consorzio di tutela. Solo due regioni italiane, per legge e tradizione, prevedono la produzione del formaggio Gorgonzola e solamente queste province: Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbania ed il territorio di Casale Monferrato per il Piemonte e Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia e Varese per la Lombardia.
Solo il latte degli allevamenti di queste province può essere utilizzato per produrre e dare quindi la denominazione di origine protetta (D.O.P.) al formaggio gorgonzola, garantendo già dalla materia prima, un formaggio così importante. Si può dire insomma che già dalla sana produzione dei foraggi e grazie all'elevato standard igienico delle stalle nei territori consortili, il latte destinato alla trasformazione in "gorgonzola" è la premessa base per un prodotto di primissimo piano. (Ringraziamo Consorzio Tutela Gorgonzola per i testi e le immagini)


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Salute & Benessere

Il grande e variegato mondo dell'alimentazione si divide in due capitoli che da sempre son ben distinti tra loro: l'aspetto gastronomico (mangiare è un piacere) e quello salutistico (mangiare bene o male dà salute o malattia)

In rete esistono ormai centinaia di siti internet e riviste che trattano di alimentazione.

Incredibilmente, nessuno riesce a trattare l'argomento in modo coerente, onesto e completo.

Le informazioni che si trovano hanno tre grandi difetti:

* Non sono coerenti perché spesso si contraddicono da sole (quello che oggi fa male domani fa bene...)
* Non sono complete perché chi le scrive non ha una visione ormai superata dell'alimentazione.
*Sono spesso inquinate da interessi commerciali che pregiudicano la qualità del messaggio, illudendo le persone che si possa tenere sotto controllo il proprio peso senza fare fatica affindandosi a prodotti miracolosi (elettrostimolatori, pillole, ecc).

Una informazione di questo tipo produce un disinteresse diffuso della popolazione nei confronti di una alimentazione sana, che continua ad essere vista come punitiva. Si continua a mangiare a caso, a sottoporsi a diete dimagranti piutosto che epreferire una alimentazione sana e piacevole allo stesso tempo.
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Il nostro punto di partenza è il concetto che mangiar bene è un diritto, e non un peccato: si può cioè trovare un compromesso ottimale tra piacere e salute.

La salute e' il bene che piu' ci sta a cuore, ma quante volte, per scarsa informazione o per colpevole negligenza, poniamo in essere veri attentati ad essa?

L'alimentazione gioca un ruolo importante nel salvaguardare la nostra salute: cio' che siamo dipende in buona misura da cio' che mangiamo, percio' la qualita' dei cibi che mangiamo e' piu' importante di quanto molti pensino.

E' necessario quindi alimentarsi con cibi il piu' naturali e freschi possibile, non geneticamente modificati, provenienti da coltivazioni biologiche, possibilmente biodinamiche, ovviamente certificate, che siano stati sottoposti a meno lavorazioni possibile e tutte rispettose delle caratteristiche chimico-fisiche dell'alimento, senza aggiunte di coloranti e dolcificanti artificiali, senza conservanti, se non naturali e innocui.

Non e' questione di moda. E' questione di salute. L'alimentazione a base di cibi sani sta diventando un'esigenza insopprimibile per raggiungere la condizione di benessere dove "corpo-mente-spirito" sono in perfetto equilibrio e collaborano alla funzionalita' dell'organismo, la salute.

La salute e' conoscenza di poche regole. Anzi di una sola che si riassume in una sola parola: "equilibrio" nel proprio organismo che poi si riflette nell'ambiente e trae forza dall'ambiente per un maggiore armonia macrocosmo-microcosmo.

Avere un'alimentazione equilibrata, adeguata ai propri bisogni, pone le basi per un reale cambiamento, poiche' rida' vigore e nuove energie all'individuo nella sua interezza, in modo duraturo.

Quando si usa il cibo per risolvere un reale problema di salute la dieta dovrebbe essere personalizzata e non usare un regime dietetico unificato, perche' e' un fatto che riguarda una persona specifica, con precise necessita' fisiche, mentali e spirituali, con cadenze, programmazioni uniche e deve tenere conto della storia individuale.

Usare l'alimentazione come mezzo per curarsi e per prevenire malattie fa parte della cultura dell'essere umano fin dai tempi preistorici. La medicina tradizionale cinese, ancora oggi, in particolari diete, usa "zuppe" curative.

In occidente con "l'uso" delle medicine a livello industriale si e' persa l'abitudine di usare le cure "empiriche" della nonna, che ci curavano e non avevano effetti collaterali. Alimentazione vista quindi come giusto sostegno alle nostre necessita' vitali, ma anche come aiuto nella correzione di eventuali situazioni anormali nel nostro organismo.
Le intolleranze alimentari sono una della cause più importanti che disturbano la nostra forma psico-fisica. L'"Ecologia Clinica", branca medica che studia questo fenomeno, e' nata nel 1945 e si e' molto sviluppata in Inghilterra e in Germania.

Sono vere e proprie assuefazioni a sostanze comuni come gli alimenti che danno una sintomatologia dopo anni di assunzione in apparente benessere. Esse vanno nettamente distinte dalle allergie, dalle intossicazioni acute e dalle intossicazioni alimentari che hanno sempre un preciso e molto stretto nesso cronologico.

Secondo la medicina olistica e naturale i nostri disturbi (metabolici, allergici, respiratori, cutanei, gastroenterici, urogenitali, psicologici,…) derivano da una somma di potenziali agenti nocivi che vanno dall'aria che respiriamo, all'inquinamento elettromagnetico, al rumore degli appartamenti vicini, allo stress di vita quotidiana, al cibo che mangiamo ormai tutto manipolato e non più naturale come una volta. Di qui il notevole incremento sia delle malattie degenerative che funzionali.

Diceva il prof. Hans Seyle di Montreal: "E' come se il nostro organismo avesse un livello di tolleranza, oltre il quale non riuscisse a mantenere l'omeostasi, ed entrasse quindi in fase di 'malattia'".
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Con opportuni e semplici test (EAV, Vega, Mora, Kinesiologico, …) e' possibile capire con assoluta precisione quali sono i fattori disturbanti la singola persona e che provocano quelle patologie funzionali croniche spesso molto invalidanti (cefalee, allergie, stipsi, diarree, obesita', asma, coliti, orticarie, dermatiti,…) che trovano altrimenti solo delle risposte sintomatologiche.

Si scopre, spesso, che la parte del leone la fanno proprio le intolleranze alimentari, ed e' quindi sufficiente, in molti casi, eliminare un cibo dalla nostra alimentazione per qualche breve periodo, praticando contemporaneamente una terapia naturale disintossicante, per migliorare rapidamente la nostra salute.

Sempre il prof. Seyle ci da' comunque una brutta notizia: "i cibi più sospetti sono solitamente quelli che consumiamo di più, perché ci piacciono molto". Questo apparente paradosso lo si spiega con le tre fasi della "Sindrome generale d'adattamento":
1. Allarme
2. Adattamento
3. Esaurimento

Classificazione delle reazioni avverse ai cibi.
1. Allergia: manifestazione con reazione simultanea, o quasi, ad un alimento ingerito (per esempio: orticaria dopo aver ingerito fragole, angioderma dopo aver mangiato crostacei, etc.).

2. Pseudoallergie: deficit enzimatici (per esempio: favismo).

3. Ipersensibilità: reazione ad alimenti che liberano istamina (per esempio: vino rosso, cioccolato, pesce in scatola, etc.).

4. Reazioni tossiche: avvelenamento da funghi o cibi avariati, botulismo etc.

5. Intolleranze alimentari: reazione indesiderata conseguente all'ingestione di un alimento.

Test per l'intolleranza alimentare.

Test Alcat: e' la versione computerizzata dei test citotossici. La differenza e' che in contatto con gli alimenti sospettati viene messo il sangue intero, perché al suo interno sono presenti sostanze che possono partecipare all'azione contro i globuli bianchi.

Dopo circa dieci minuti, le altre componenti del sangue sono distrutte e i globuli bianchi (messi su di un vetrino) vengono letti da un computer, che fa lo stesso lavoro di un tecnico di laboratorio, ma in modo più rapido e riproducibile.

Test Citotossici: si basano su una considerazione fatta negli anni trenta: "quando i globuli bianchi entrano in contatto con una sostanza alla quale l'organismo e' intollerante si ha una loro distruzione o modificazione, che puo' essere analizzata al microscopio".

I test citotossici consistono in un prelievo del sangue. I globuli bianchi sono separati dagli altri componenti e divisi in più gruppi: uno da usare come elemento di confronto (come sono i globuli bianchi del soggetto quando non vengono a contatto con sostanze "nocive") gli altri vengono messi in contatto con un alimento diverso. Il tecnico di laboratorio, al microscopio, conta i globuli bianchi, ne osserva la forma e il volume per verificare i possibili cambiamenti.

Test da carico: dopo un colloquio approfondito con il paziente, il medico identifica l'alimento che puo' provocare l'intolleranza, che viene eliminato dalla dieta. Dopo circa due settimane il cibo viene nuovamente introdotto nel menù e se ricompaiono i sintomi, e' palese che i sospetti erano certi. Diversamente si deve ricominciare da capo. Questo test puo' andare avanti per un lungo periodo a volte anche un anno o più, perché gli alimenti sospetti possono essere molti.

Test Dria: si basa sul principio che uno stimolo negativo (come un cibo non tollerato dall'organismo) causa una caduta della forza muscolare. Durante il Dria test bisogna indossate una specie di cavigliera dove e' inserito un trasduttore di forza (apparecchio che misura la forza muscolare e la trasforma in un grafico) collegato ad un computer. Stando seduti si esegue un movimento con la gamba dopo che il medico ha versato in bocca una soluzione liquida del cibo. In un'ora vengono testati circa 30/40 alimenti sospetti.

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Questo mese le tue piante in terrazza e in giardino iniziano temperature. Ecco i sintomi perché si possa correre ai ripari come quasi sempre, è meglio prevenire che curare.

Quando il termometro ecende sotto gli O °C, la maggior parte del­le piante collocate in terrazza o in giardino soffre veramente molto, so­prattutto nelle zone interne della Peni­sola o nelle zone di montagna.

Vi so­no esemplari che, nonostante sopporti­no le basse temperature, hanno bisogno di una certa protezione, ad esempio le piante da fiore o quelle appena pian­tate, le più vulnerabili. Si hanno due opzioni: proteggere la parte aerea, gli steli, le foglie e i fiori o proteggere le radici, la parte più sensibile, perche una vol­ta gelate non sono in grado di ristabilir­si, a differenza della parte aerea che è in grado di rigermogliare a partire dalla pri­mavera se è stata potata a dovere.

Segreti per avere successo

Bisogna tenere conto che l'esposizionie in­fluisce sulla temperatura che possono mie-rare. Con un'esposizione a nord le pón­te resistono peggio alle gelate. Per quanto riguiarda le piante più delicate possono passare l'inverno all'esterno se vengono protetti i vasi e se collocate al riparo dei venti freddi. Una gelata leggerea non è sufficiente per danneggiare una pianta resistente al freddo, sopratutto la parte aerea, meno vulnerabile. E' più importante coprire le radici. Un ultimo consiglio. Non soministrare acqua agli esemplari in terrazza se si preannunciano gelate, Ecco tutte le misure da adottare per prevenire gli effetti nocivi delle gelate.

Anche le piante più resistenti possono avere bisogno di protezione quando si preannunciano gelate persistenti.

In questo modo sarà possibile proteggere le foglie e le radici di un kumquat (Fortunella japonica). Quando il tempo migliora sarà possibile eliminare la protezione.

Collocare del­le canne intorno al vaso, interrate, in modo che servano di supporto alla protezione, che sia di pla­stica o del materiale che più si preferisce. Il numero di canne e l'altezza dipende dal­la dimensione della pianta da coprire.
Tagliare un pez­zo di plastica da imballo di una di­mensione sufficien­te per avvolgere la pianta e il vaso. Ap­poggiarlo sulle canne in modo che non tocchi le foglie. Assicurarsi che sia tutto coperto.


Fissare la plastica in modo che sia totalmente chiusa. Per la parte superiore e inferiore, con una corda, chiudere il tutto in modo che non penetri il freddo e che non si sollevi per il vento, normale in questa stagione.
Legare la par­te superiore della pianta in modo di coprire bande piccole perché la chioma rimanga totalmente e perfettamen­te coperta senza però stringere troppo la corda per non danneggiare le foglie e i rami dell'esemplare



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