La pianificazione paesaggistica ha una funzione regolatrice e programmatoria (2a parte).

 Il modello di pianificazione introdotto dal Codice risente dell’impostazione che è data all’intero sistema di tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici ed alla nuova nozione di paesaggio che si è andata affermando nel nostro ordinamento. La circostanza per cui, nell’attuale nozione di paesaggio che viene mutuata dalla Convenzione europea e dalle posizioni di quella dottrina che vi ha identificato la «forma del territorio», questo deve intendersi non limitato ai soli contesti di valore estetico ma a tutti i territori espressivi dell’identità culturale, ha comportato la necessità di ripensare anche la pianificazione.


In particolare, alla tradizionale funzione di tutela statica dei beni paesaggistici deve affiancarsi una funzione di gestione dinamica di quelle ampie parti di territorio che, pur non presentando caratteristiche tali da imporre l’assoluta preservazione ed immodificabilità, pretendono tuttavia di essere trasformate tenendo conto della circostanza che fanno parte del paesaggio. Il rischio che si corre è però quello di trascurare le peculiarità di questa forma di pianificazione e di non valorizzare adeguatamente le specificità della materia. Ed è fondamentale l’azione che i soggetti svolgono nell’ambito della pianificazione, anche quando vi siano divergenze tra le Regioni ed il Ministero, affinché sia conservata l’integrità del paesaggio. In effetti, si sono presentati casi in cui, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali casi la legge la legge attribuisce al Ministero, si è determinata una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si è deciso di privilegiare scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico che è apparso oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari. In questi casi, quando risulti impossibile realizzare una efficace azione condivisa, è stato ribadito e «fatto salvo il potere del Ministero, a norma dell’articolo 138 comma 3 del Codice, di imporre, previo parere della Regione, autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio».

La legislazione vigente attribuisce al piano paesaggistico effetti di straordinaria portata, sino alla totale esclusione di qualsivoglia possibilità edificatoria: ciò rende l’idea di quale sia la capacità di influire sul diritto di proprietà, senza che la legislazione vigente preveda misure di indennizzo che soddisfino l’incidenza sul diritto. Di tale potere deve essere fatto un uso molto accorto. Se, infatti, i soggetti cui è affidata la competenza a dare luogo alla pianificazione la realizzassero in modo distratto e solo in funzione di tutela e non di complessiva gestione del territorio, tentando con essa di dare luogo ad un’analitica e particolareggiata individuazione di tutte la trasformazioni d’uso ammissibili, si tornerebbe ad una nozione di paesaggio statica, concepita in funzione della sola protezione e non della regolazione, con l’ulteriore negativa conseguenza di avere esteso l’immobilismo ad importanti segmenti di territori regionali.

Passando all’oggetto della pianificazione paesaggistica, esso è definito dall’articolo 135 del Codice, con una collocazione che assegna alla pianificazione un ruolo assolutamente primario. La pianificazione è un principio che informa l’intera azione amministrativa di tutela e valorizzazione del paesaggio, funzione essenziale nei diversi processi finalizzati al perseguimento degli obiettivi presupposti. Si osserva immediatamente che la pianificazione paesaggistica è suscettibile di interessare il territorio regionale nella sua interezza: «Lo Stato e le Regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono».

Alla luce dei limiti che avevano caratterizzato il T.U. del 1999, dove si era previsto un coordinamento tra le disposizioni previgenti in materia paesaggistica, le nuove norme rappresentano una novità di assoluto rilievo.
Con estrema riduttività, nel T.U. erano confluite le norme che obbligavano le Regioni a redigere piani territoriali paesistici o piani urbanistico-territoriali solo per i beni vincolati ope legis, a tenore dell’articolo 1-bis della legge Galasso, e di quelle contenute nell’articolo 5 della legge 1497/1939, che prevedevano la facoltà di sottoporre a pianificazione paesistica i complessi di cose immobili e le bellezze panoramiche che fossero stati oggetto di uno specifico provvedimento vincolativo. Di fatto, le diverse Regioni e lo stesso Ministero avevano incluso, nelle esperienze pianificatorie che hanno preceduto il Codice, tutte le aree tutelate. Del resto, l’introduzione dello strumento alternativo del piano urbanistico- territoriale aveva già reso possibile, anche prima dell’entrata in vigore del Codice, estendere tale forma di pianificazione anche negli ambiti di territorio non previamente assoggettati a tutela.

A seguito dell’entrata in vigore del Codice si è prodotto un effetto di particolare importanza, costituito dal fatto che l’elaborazione dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali è, per la prima volta, ricondotta a principi e a contenuti unitari, comuni a tutte le Regioni. Fermo restando che, a mente dell’articolo 144 del Codice, la Regione definisce le procedure approvative, disciplinando tutte le forme partecipative necessarie al fine di ottenere un piano paesaggistico condiviso e funzionale.

Viene, in tal modo, data omogeneità alla forma e ai contenuti degli strumenti di pianificazione presenti nelle diverse Regioni.

Quanto ai contenuti, il piano paesaggistico affianca, alle tradizionali finalità descrittive e prescrittive, contenuti propositivi attinenti agli interventi di recupero e di riqualificazione delle aree e all’individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico. E ciò, prevedendo innovative forme di partecipazione da parte di soggetti portatori di interessi riconnessi alla tutela ed alla protezione del territorio.

In particolare, il contenuto che devono avere i nuovi piani paesaggistici risulta dal combinato disposto della parte finale dell’articolo 135 e della parte iniziale dell’articolo 143, il quale ultimo articolo contiene anche gran parte delle disposizioni sulle modalità di elaborazione del piano e sui passaggi dell’iter da seguire per la sua approvazione. La pianificazione paesaggistica individua differenti ambiti territoriali: da quelli che possiedono un pregio paesistico di notevole rilievo fino a quelli degradati che quindi necessitano di interventi di riqualificazione. Detti ambiti sono individuati con tecnica pianificatoria analoga alla zonizzazione tipica della pianificazione urbanistica e sono definiti in base ai loro aspetti e caratteri peculiari nonché alle loro caratteristiche paesaggistiche. L’articolo 135, comma 3 del Codice prevede che i piani predispongano specifiche normative d’uso e individuino adeguati obiettivi di qualità.

Nell’impostazione codicistica, tuttavia, i più rilevanti contenuti del piano deriveranno più che dalla richiamata disposizione, dallo svolgimento delle attività indicate nell’articolo 143. La norma citata, che è stata oggetto di completa riscrittura da parte del d. lgs. 63/2008, descrive le diverse azioni con cui avviene l’elaborazione del piano paesistico. La formulazione del citato articolo 143 pone in risalto la funzione ricognitiva delle qualità specifiche del territorio oggetto di pianificazione, la quale avviene mediante l’analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, derivanti dall’azione della natura e dell’uomo, e delle interrelazioni tra il fattore naturale e quello storico; la ricognizione e la trasposizione all’interno del piano degli immobili e delle aree dichiarate di notevole interesse pubblico, ed infine, la ricognizione e la trasposizione delle aree tutelate per legge ex articolo 142, lettera c). A queste operazioni si aggiunge «l’eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a norma dell’articolo 134, comma 1, lettera c), la loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione». Questa elencazione rappresenta l’insieme dei beni che possono divenire oggetto di pianificazione paesaggistica, con l’ulteriore individuazione di eventuali altri contesti, diversi da quelli indicati all’articolo 134, che possono essere sottoposti a specifiche misure di salvaguardia ed utilizzazione, secondo le indicazioni di cui all’articolo 143, comma 1, lettera e).

Per il Codice, dunque, la prima attività da svolgere ai fini della predisposizione del piano paesaggistico è costituita dalla ricognizione dell’intero territorio, attraverso la ricostruzione della mappa dei vincoli esistenti e di quelli che con il piano si intende apporre. La più significativa novità introdotta con il secondo correttivo del 2008 è rappresentata dalla previsione per cui, in sede di ricognizione dei beni che sono sottoposti già a tutela, ed in quella di individuazione dei beni ulteriori che il piano intende vincolare, devono determinarsi anche le specifiche prescrizioni d’uso dei beni, a mente dell’articolo 138, comma 1. Si è notato che nella formulazione vigente, il rapporto tra vincolo e piano risulta articolato su basi nuove, per cui si fissa già con il vincolo una parte di territorio indeformabile, mentre con il piano si precisano e si dettagliano le prescrizioni, integrandole con i contenuti finalizzati alla valorizzazione del paesaggio ed alla riqualificazione dei contesti degradati. Non v’è dubbio, infatti, che le prescrizioni contenute nel vincolo mirino soprattutto alla tutela del paesaggio, mentre alla sua valorizzazione provveda, in via principale, il piano. Il vincolo, dunque, costituisce un elemento di forte condizionamento dell’attività pianificatoria, che, evidentemente, ponendosi in un momento temporale successivo all’apposizione del vincolo, vi risulta subordinata.

Si è già detto che il piano paesaggistico deve contemporaneamente assolvere a più funzioni, tra cui spicca, per rilevanza, quella rivolta alla accurata ricognizione del territorio vincolato ed alla individuazione di ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a norma dell’articolo 136 del Codice e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156. Tale necessaria funzione ricognitiva, che caratterizza la fase iniziale della predisposizione del piano paesaggistico vale a definire l’estensione dell’ambito oggetto di considerazione da parte del piano e, quindi, l’estensione del piano medesimo.

Dunque, i beni alla cui ricognizione ed individuazione il piano deve procedere ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d) corrispondono esattamente a tutti i beni paesaggistici elencati dall’articolo 134.
La disposizione dell’articolo 143, comma 1 lettera e), stabilisce, poi, che nell’elaborazione del piano si possono individuare eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all’articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione. Sulla natura di questi beni si sono avanzati dei dubbi con riferimento alla loro collocazione.

All’esito dell’attività di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, che costituisce la base da cui partire per procedere alla formazione del piano, si passa all’analisi del territorio che deve avere quale obiettivo quello di individuare i fattori di rischio o degli elementi di vulnerabilità in esso presenti e, successivamente, al raffronto con gli altri atti di programmazione, di pianificazione del territorio e di difesa del suolo che già insistono sull’area. La fase successiva, che si concreta nell’individuazione delle misure di tutela e valorizzazione, appare di fondamentale importanza.

Nello specifico, essa avviene con l’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela, e con l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate, nonché, infine, con l’individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica. La previsione che il piano debba avere questi contenuti è rivolta alla predefinizione del contenuto delle decisioni che le amministrazioni chiamate alla gestione del paesaggio dovranno assumere. In tal modo si è voluto porre un limite all’eccesso di discrezionalità che inevitabilmente avrebbe caratterizzato la valutazione delle richieste di autorizzazione paesaggistica, consentendo altresì al piano di assolvere alla primaria esigenza di controllo e di programmazione.

Questi sono, peraltro, i contenuti del piano che determinano i rapporti che dovranno intercorrere tra esso e gli altri strumenti di pianificazione e gestione del territorio, che sono caratterizzati dalla supremazia e primarietà del piano paesaggistico che indirizza tanto la pianificazione di recupero che la ordinaria pianificazione urbanistica.
L’articolo 135 del Codice dispone che «lo Stato e le Regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente tutelato, gestito e valorizzato in ragione dei differenti valori espressi dai contesti che lo costituiscono, attraverso l’approvazione dei piani paesaggistici».

Sotto il profilo del procedimento di formazione dei piani paesistici,
 dunque, la norma contenuta nell’articolo 143, in applicazione dei principi di cui all’articolo 132, prevede la possibilità che il piano costituisca il frutto di un accordo tra la Regione, il Ministero per le Attività ed i Beni Culturali e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

L’accordo deve stabilire, altresì, i presupposti, le modalità e i tempi per la revisione periodica del piano.
La natura apicale del piano paesaggistico e la varietà dei suoi contenuti spiegano la sovraordinazione e la preminenza dal piano paesaggistico rispetto agli altri strumenti di pianificazione territoriale. Secondo quanto previsto dalla disposizione dell’articolo 145, infatti, le previsioni contenute nel piano sono cogenti per i piani urbanistici degli enti territoriali, stabiliscono norme di salvaguardia in attesa del loro adeguamento, e sono sempre prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione e sugli altri progetti di sviluppo comunque incidenti sul paesaggio.

Le Regioni, in passato e sino all’emanazione del Codice, avevano in realtà definito una sequenza procedimentale in tutto analoga a quella prevista per l’approvazione degli altri strumenti di pianificazione, caratterizzata da: predisposizione da parte degli uffici dell’amministrazione regionale o eventuale affidamento dell’incarico a terzi di predisporre lo schema di piano; adozione dello strumento con delibera di Giunta regionale, sentiti, eventualmente, ove esistenti, gli organi di consulenza tecnica in materia di pianificazione urbanistico-territoriale; pubblicazione della delibera di adozione e degli allegati alla stessa e adozione delle ulteriori forme di pubblicità previste dalla normativa regionale; ricezione delle osservazioni presentate nei confronti del piano adottato con esame delle controdeduzioni alle stesse; approvazione finale del piano da parte del Consiglio regionale e sua definitiva pubblicazione. Su questa prassi il Codice è intervenuto in modo molto invasivo, prevedendo la necessità di un intervento legislativo di adeguamento attraverso l’articolo 144, comma 1, dove è prescritto che «le Regioni disciplinano mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica».

Questo dato conferma che in tema di pianificazione paesaggistica anche il Codice riserva al legislatore regionale una competenza ampia, e ribadisce la necessità di considerare il paesaggio come materia «trasversale», oggetto di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. In considerazione di ciò, la legislazione regionale che darà attuazione al Codice, dovrà tenere presenti i seguenti principi fissati dalla normativa statale in tema di procedure di formazione dei piani paesaggistici.

Invero, le Regioni che stipuleranno accordi per l’elaborazione d’intesa dei piani paesaggistici con il Ministero per i beni e le attività culturali, e con il Dicastero dell’ambiente e della tutela del territorio, potranno accedere alle disposizioni premiali ed alle semplificazioni procedimentali previste dai commi 4 e ss. dell’articolo 143.
Le ulteriori disposizioni del Codice in materia di procedure per l’approvazione dei piani paesaggistici sono dettate dai due commi dell’articolo 144, rubricato «pubblicità e partecipazione».

Così, nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici devono essere assicurate da parte delle Regioni, in sede di fissazione della relativa disciplina, la concertazione istituzionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle Associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ambiente e danno ambientale, e ampie forme di pubblicità.

La pianificazione paesaggistica diviene il passaggio obbligatorio essenziale per la conservazione, la pianificazione e la gestione del paesaggio, con estensione di essa a tutto il territorio regionale, con la previsione di diverse graduazioni di tutela in relazione alla ricognizione dei valori paesaggistici e alla conseguente assegnazione di obiettivi di qualità paesistica, nonché di interventi di recupero nelle aree degradate, così come vuole la Convenzione europea.
Pertanto, il nuovo punto di equilibrio tra vincoli e pianificazione dovrà essere raggiunto progressivamente e senza traumi per la tutela del paesaggio, attraverso un meccanismo di revisione e di adeguamento dei piani esistenti. 

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