Sfortunatamente, sembra che l’industria agrochimica non abbia imparato nulla dalle lezioni della Rivoluzione Verde. Secondo il biologo David Ehrenfeld:


Al pari dell’agricoltura intensiva, l’ingegneria genetica viene spesso giustificata come una tecnologia umana, una tecnologia che serve semplice-mente a nutrire più persone con cibi migliori. Non si potrebbe dire nulla di più falso. Fatte salve rarissime eccezioni, l’unico scopo dell’ingegneria genetica è quello di aumentare le vendite di prodotti chimici e geneticamente manipolati ad agricoltori che vengono a dipendere da essi.

La semplice verità è che la maggior parte delle innovazioni nelle biotecnologie alimentari sono state guidate dal criterio del profitto anziché da quello di rispondere a delle reali esigenze. Per fare un esempio, la Monsanto ha genetica-mente modificato la soia in modo da renderla resistente all’erbicida Roundup - fabbricato dalla stessa compagnia —, per poter aumentare le vendite di questo prodotto.


La Monsanto ha poi realizzato anche dei semi di cotone contenenti un gene insetticida, in modo da aumentare le proprie vendite di sementi. Tecnologie come queste accrescono la dipendenza dei coltivatori rispetto a prodotti che sono brevettati e protetti da «diritti di proprietà intellettuale» -cosa che rende illegali le vecchie pratiche agricole di riprodurre, immagazzinare e condividere le sementi. Inoltre, queste compagnie aggiungono delle «competenze tecnologiche» al prezzo delle sementi, o costringono gli agricoltori a pagare prezzi gonfiati per acquistare le sementi assieme agli erbicidi.


Attraverso una serie di grandi fusioni e grazie allo stretto controllo reso possibile dalle tecnologie genetiche, si sta oggi costituendo una concentrazione di proprietà e di controllo sulla produzione alimentare che non ha precedenti nella storia.76 Le prime dieci compagnie agrochimiche controllano l’85 per cento del mercato globale, e le prime cinque controllano virtualmente l’intero mercato delle sementi geneticamente modificate. La sola Monsanto è entrata in possesso delle maggiori compagnie produttrici di sementi in India e in Brasile, oltre a comprare numerose compagnie biotecnologiche; la Du Pont, dal canto suo, ha poi acquistato la Pioneer Hi-Bred, la più grande azienda produttrice di sementi del mondo.


Il fine ultimo di queste megacorporazioni è quello di creare un unico sistema agricolo mondiale, nel quale esse siano in grado di controllare tutti gli stadi della produzione alimentare e di manipolare sia le forniture di cibo, sia i loro prezzi. Come ha spiegato un dirigente della Monsanto, «ciò a cui state assistendo è un consolidamento dell’intera catena alimentare».

Tutte le principali compagnie agrochimiche stanno progettando di introdurre qualche versione della «terminator technology» - piante con semi resi sterili tramite manipolazione genetica, che costringerebbero gli agricoltori a ricomprare anno dopo anno i prodotti brevettati e porrebbero fine alla loro capacità, che si è sempre dimostrata vitale, di sviluppare nuove coltivazioni.


Ciò avrebbe conseguenze devastanti soprattutto nel Sud del pianeta, dove per crescere l’80 per cento dei raccolti ci si serve di sementi conservate. Questi piani portano in luce meglio di qualunque altra cosa le motivazioni puramente commerciali che stanno dietro alla produzione di alimenti geneticamente modificati.


Molti scienziati che lavorano per queste compagnie potrebbero sinceramente credere che le loro ricerche aiuteranno a nutrire il mondo e a migliorare la qualità del nostro cibo; di fatto, però, essi operano all’interno di una cultura di potere e di controllo, incapace di mettersi ad ascoltare e guidata da concezioni strettamente riduzioniste, nella quale le preoccupazioni di carattere etico non fanno semplicemente parte delle strategie aziendali.


I sostenitori delle biotecnologie hanno ripetutamente affermato che le sementi geneticamente modificate sono di cruciale importanza per risolvere il problema della fame nel mondo, e hanno fatto questo riproponendo quelle stesse erronee argomentazioni che, nei decenni precedenti, erano state avanzate dai sostenitori della Rivoluzione Verde. La produzione alimentare convenzionale, sostengono, non riuscirà a tenere il passo della crescita della popolazione mondiale.


Nel 1998, uno spot della Monsanto proclamava che «preoccuparsi per la fame che attende le generazioni future non servirà a nutrirle. Sarà la biotecnologia alimentare a farlo».7Come sottolineano gli agroecologisti Miguel Altieri e Peter Rosset, questo ragionamento si basa su due assunzioni errate. La prima è che la fame nel mondo sia causata da una carenza globale di cibo; la seconda è che l’ingegneria genetica sia il solo mezzo possibile per accrescere la produzione di cibo.


Le associazioni per lo sviluppo sanno da molto tempo che non c’è alcun rapporto diretto fra la densità di popolazione di un Paese (o il suo tasso di crescita demografica) e il fatto che in esso si soffra la fame. La fame è diffusa in Paesi densamente popolati - come il Bangladesh e Haiti -, ma anche in altri dove la densità di popolazione è assai ridotta -come il Brasile e l’Indonesia. E anche negli stessi Stati Uniti, in mezzo alla sovrabbondanza, ci sono tra i venti e i trenta milioni di individui che soffrono di malnutrizione.