Piante-da-InternoDecorative ma non solo. Le piante d’appartamento contribuiscono a ripulire l’aria di casa. 

Ecco quelle consigliate a chi vuole incrementare la propria riserva di ossigeno.

La formaldeide presente nel compensato e nella moquette. Il benzene di vernici e inchiostri. Persino l'acetone e l'etanolo, prodotti normalmente con la respirazione. L'aria delle nostre case è spesso piena di sostanze chimiche inquinanti, che possono essere eliminate scegliendo le piante d'appartamento adatte. Ecco dieci potentissimi (e graziosi) filtri naturali, in grado di rendere più sano l'ambiente in cui viviamo:

- Edera: è particolarmente efficace contro il benzene (riesce ad assorbirne fino al 90%). Resistente e versatile, necessita solo di una stanza ben illuminata. Le varietà più adatte da tenere in casa sono quelle a foglie variegate. La Golden Gate e la Golden Igot si trovan   o bene in ambienti caldi e luminosi, la Deltoidea e la Telecur si adattano anche alla penombra.
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- Dracena: nota anche come Tronchetto della Felicità, assorbe circa la metà della formaldeide e del benzene presenti nell'ambiente. Originaria del Madagascar e molto diffusa come pianta ornamentale, ha bisogno di ambienti caldi e luminosi e di un terriccio sempre umido.
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- Ficus benjamina: neutralizza benzene, tricloroetilene e formaldeide. Molto comune negli appartamenti, è una pianta piuttosto delicata, che richiede annaffiature regolari e teme il freddo.
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- Chamaedorea: una piccola palma che riesce ad assorbire fino a 6 microgrammi di ammoniaca all'ora. Resistentissima, è particolarmente adatta alle case dei maniaci delle pulizie e del fai da te, che adoperano molti detersivi e solventi chimici. È anche un ottimo umidificatore naturale. Se preferite combattere l'inquinamento casalingo in modo più colorato, potete provare con l'Antiurio, dalle foglie lucide e dai bei fiori rossi.
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- Spatifillo: un piccolo arbusto sempreverde dagli eleganti fiori bianchi che riesce a neutralizzare, oltre al benzene, anche l'acetone e il metanolo presenti nell'aria. Deve essere bagnata costantemente e con abbondanza.
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- Sansevieria trifasciata: una pianta grassa elegante, robustissima e davvero particolare. Al contrario della maggior parte delle sue consimili, produce ossigeno ed elimina l'anidride carbonica anche di notte. Si può quindi tenere anche in camera da letto ed è particolarmente adatta nei luoghi affollati o con scarso ricambio d'aria. L'Aloe Vera ha sue le stesse qualità.
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- Felce di Boston: un pezzo di foresta primordiale da tenere in salotto, in grado di assorbire la formaldeide all'incredibile ritmo di 20 microgrammi all'ora. Resiste anche in ambienti piuttosto freschi (attorno ai 15 gradi) e va nebulizzata spesso.
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- Gerbera: un vero killer di tossine chimiche. È molto efficiente nell'eliminare i residui della trielina ed è perciò particolarmente adatta a bagni e lavanderie. Datele un ambiente ventilato e luminoso (senza esporla al sole diretto) e vi ricambierà con una splendida fioritura estiva.
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- Azalea: le varietà da interno, come tutte le piante del genere Rhododendron, sono capaci di eliminare dall'aria molte sostanze tossiche, soprattutto la formaldeide. Senza contare l'esplosione di fiori rosa intenso, che inizia a tarda primavera per continuare, nei casi più fortunati, per tutta l'estate.
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- Pothos (Epipremnum Pinnatum): una graziosa pianta rampicante - ottima decorazione per mobili e mensole - in grado di assorbire, oltre al benzene, anche il monossido di carbonio. Molto resistente, ha bisogno di poca luce. Bisogna fare attenzione, però, durante le potature, perché la sua linfa può irritare la pelle.
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l genere Ficus appartiene alla famiglia delle Moraceae ed era già conosciuto ai tempi degli antichi romani, tanto che la propria denominazione affonda le sue radici etimologiche proprio in quel periodo storico.

Si compone di circa 600 specie, con il 90% di esse diffuse nelle regioni tropicali e subtropicali a clima caldo. Sono piante legnose dalle più svariate dimensioni che vanno dagli enormi Ficus benghalensis, alti alcune decine di metri fino ai piccoli rampicanti, quali i Ficus repens.
Il Ficus è composto da piante arboree o arbustive, talvolta quasi erbacee, sempre caratterizzate da un comune succo lattiginoso (il lattice) che fuoriesce quando vengono incisi il tronco o le foglie. Le foglie sono di molteplici tipi, alcune profondamente lobate, altre intere o a margini ondulati, altre ancora con pochi denti. Generalmente sono alterne e persistenti, raramente opposte, di consistenza piuttosto variabile, e differenti anche nella nervatura; fatto questo che facilita nella distinzione della specie.

I piccoli fiori sono apetali, riuniti in infiorescenze, sul ricettacolo cavo, che possono essere ascellari, solitarie, o disposte in spighe o in grappoli terminali. In ogni ricettacolo si possono trovare fiori unisessuali oppure mascolini o femminili. Il frutto può essere solo una piccola noce, oppure molti, ma minuscoli semi, avvolti dal perigonio carnoso, formando il frutto conosciuto come fico.

La corteccia è liscia, di colore beige, a volte attraversata da sottili strisce bianche o marroni. Il suo pregio principale è rappresentato soprattutto dalle radici aeree emesse dai rami che, affondando nel terreno, si ingrossano, formando "pittoreschi pilastri" di sostegno dell'ampia fronda. Si formano così gli enormi tronchi del Ficus benghalensis, conosciuto anche come banyan, che sono, in effetti, sovrapposizioni di vari tronchi (le radici aeree ingrossate) sul tronco iniziale.

Il Ficus è il classico bonsai da interno. Riesce a vegetare bene in ambienti poco luminosi, dove altre piante non riuscirebbero a sopravvivere e richiede pochissime cure per vivere in salute.

Le varietà esistenti in natura sono migliaia (a cominciare dal Fico comune, fino ad arrivare ai Ficus repens rampicanti) ma quello che viene maggiormente utilizzato nella tecnica bonsai è il Ficus Retusa.

Il tronco di questo Ficus è robusto e sinuoso, con la corteccia molto chiara, a volte segnata da chiazze bianche orizzontali. Negli esemplari adulti la base del tronco si presenta ricca di radici contorte che suscitano sempre una forte impressione; ma la caratteristica che rende il Ficus unico tra i bonsai, è quella delle radici aeree: le quali, partendo dai rami arrivando fino a terra, diventando a loro volta dei tronchi secondari. Le foglie sono ovali, appuntite, di un bel verde intenso, inoltre, non è raro veder fruttificare questa pianta, che produce dei piccoli fichi giallognoli.

Esposizione.

In primavera, quando le temperature non scendono più sotto i dieci gradi, è conveniente tenere il bonsai all’esterno
in pieno sole: un’adeguata illuminazione permette alla pianta di vegetare con vigore, producendo rami robusti, foglie piccole, vegetazione compatta ed uniforme.
In estate, a differenza degli altri bonsai, il Ficus può anche rimanere al sole, a patto che il vaso venga riparato dai raggi solari, per non far surriscaldare l’apparato radicale; oppure, lo si può riportare in casa collocandolo in una posizione ben illuminata davanti ad una finestra.
In autunno, il Ficus può rimanere in casa, oppure si può tenere all’aperto. Naturalmente, quando le temperature iniziano a scendere sotto i 10°, si deve immediatamente ricoverare il bonsai in casa.
In inverno, i Ficus debbono rimanere in casa poiché, come già detto, questa essenza non sopporta temperature sotto i 10°.
Un sottovaso riempito di ghiaia bagnata contribuisce a mantenere la giusta umidità alla pianta, sia d’estate, quando fa caldo, sia d’inverno, quando i termosifoni accesi seccano l’aria. Questa sistemazione, oltre a mantenere un microclima più idoneo al bonsai, si rivela utile anche per scongiurare le infestazioni di ragno rosso. Se la finestra è esposta al sole, andrà velata da una tenda per evitare che le foglie vengano ustionate dall’”effetto lente”.

Annaffiatura.Servendosi di un annaffiatoio con soffione delicato, irrigare il Ficus abbondantemente, ma solo quando il terreno si presenta asciutto, ripetendo l’operazione due o tre volte a distanza di qualche minuto, per fare in modo che il substrato assorba completamente l’acqua versata. Se il bonsai viene tenuto in casa, diventa importantissimo accertarsi, prima di annaffiare, che il terriccio non sia ancora bagnato. In autunno, quando le giornate iniziano ad accorciarsi e il sole è più basso, le irrigazioni vanno diradate, poiché il bonsai consumerà molta meno acqua, rispetto al periodo estivo.
Potatura.

Il periodo migliore per effettuare la potatura del Ficus è la primavera: in aprile-maggio si possono tagliare i rami con la certezza di una pronta ripresa vegetativa. Da ricordare che il legno di questa pianta è tenero e fibroso, perciò, la cicatrizzazione avviene in modo veloce ma non molto estetico: specialmente i tagli grandi tendono a formare un rigonfiamento eccessivo, quindi, è importantissimo medicarli con la pasta cicatrizzante.
La potatura dei rami si effettua con la tronchese concava e la scelta delle branche da accorciare o da eliminare dipende dallo stile del bonsai; in ogni caso vanno eliminati i rami che sviluppano in senso verticale, quelli che si incrociano, o che crescono verso l’interno e quelli che nascono sotto la base di un’altro ramo; inoltre,in presenza di rami contrapposti o paralleli, uno dei due va tagliato.
Pinzatura.

Nel Ficus la produzione di nuovi germogli è praticamente continua durante tutto l’anno, perciò, bisogna ricorrere più volte alla tecnica della pinzatura, allo scopo di mantenere la linea del bonsai che, se non cimato, diverrebbe un cespuglio informe in poco tempo. Naturalmente, per non indebolire la pianta, occorre aspettare che dalla chioma fuoriescano molti germogli, con almeno 5-6 foglie, quindi, usando la forbice lunga, si effettua il taglio dopo la seconda o la terza foglia.
Defogliazione.

Questa tecnica, utile per ridurre la grandezza delle foglie, si applica nel mese di giugno. L’operazione si effettua con l’apposito defogliatore, eliminando tutte le foglie del bonsai. Dopo pochi giorni, la pianta produce nuove foglioline, più piccole delle precedenti, che rendono il bonsai proporzionato e armonioso. Per scongiurare il rischio di un ritiro di linfa, che farebbe seccare i rami rimasti nudi, è molto importante lasciare una foglia alla sommità di ogni ramo; foglia che và eliminata solo quando appaiono le nuove foglioline lungo il ramo stesso.
Rinvaso.
Il periodo migliore per il rinvaso è aprile-maggio. Si usa, in genere, un vaso smaltato ovale o rettangolare, lungo circa il 70% dell’altezza del bonsai. Come per tutte le piante sempreverdi, il Ficus non và rinvasato a radice nuda: l’apparato radicale deve essere ridotto di circa la metà, cercando di non smuovere troppo il pane di terra rimanente alla base del tronco. Il substrato deve avere un buon drenaggio, perciò, si può utilizzare la terra Akadama, oppure un terriccio contenente sostanza organica (es. Terriccio Pronto) che richiederà minori annaffiature d’estate. Dopo il rinvaso, per circa venti giorni, non concimare, effettuare delle nebulizzazioni settimanali con la vitamina B (Sprintene) e tenere il bonsai all’esterno ma non al sole.
Concimazione.

Il Ficus, essendo una pianta che vive in casa, vegeta praticamente tutto l’anno, perciò le concimazioni dovranno essere continue, diradandone la frequenza solo nei mesi di novembre e dicembre. Il concime può essere liquido (da somministrare ogni 10-15 giorni) o solido a lenta cessione (somministrare ogni 40-50 giorni) in quest’ultimo caso è conveniente utilizzare il Biogold o l’Aburukasu, i quali non provocano cattivi odori, fattore importante per delle piante che vivono in casa.
Applicazione filo.

La corteccia del Ficus è particolarmente tenera e la crescita dei rami estremamente veloce, quindi, quando si applica il filo in alluminio per orientare i rami, bisogna ricordare di non stringerlo troppo, altrimenti la corteccia potrebbe rimanere segnata già dopo pochi giorni.Il filo si può applicare tutto l’anno.
Difesa dai parassitiI nemici più acerrimi di questa pianta sono: il ragno rosso (microscopico Acaro che infesta quasi regolarmente i nostri bonsai nei mesi estivi, facendo cadere loro tutte le foglie), la cocciniglia (riconoscibile dalla presenza di piccoli “batuffoli di cotone” all’attaccatura delle foglie) e la fumaggine (polvere nera sulle foglie). Una difesa efficace è rappresentata da trattamenti preventivi effettuati a cadenza settimanale, usando alternativamente, un acaricida, un anticocciniglia e un anticrittogamico.


 
 
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regno_delle_pianteIl regno delle piante (Plantae Haeckel, 1866) comprende circa 350.000 specie di organismi viventi, distinti comunemente con nomi di alberi, arbusti, cespugli, erbe, rampicanti, succulente, felci, muschi e molti altri ancora.
La maggior parte delle piante esistenti e conosciute sono incluse nel gruppo delle Angiosperme (divisione Magnoliophyta), con circa 250.000 specie che si distinguono dalle altre divisioni per la produzione di fiori seguita, dopo l'impollinazione, dalla formazione di semi racchiusi e protetti all'interno di un frutto.
La branca della biologia che si occupa dello studio delle piante è la botanica.
Per i biologi le piante hanno alcune caratteristiche fondamentali:
    sono organismi autotrofi, cioè riescono a produrre il loro nutrimento direttamente da sostanze inerti (l'aria, l'acqua, il terreno);
    svolgono la fotosintesi, un insieme di reazioni biochimiche, che permette di catturare parte dell'energia solare trasformando l'anidride carbonica in zuccheri ed altre sostanze;
    sono formati da cellule eucariote, cioè cellule particolarmente evolute, dotate di un vero e proprio nucleo;
    le pareti cellulari sono ricche di cellulosa e le cellule stesse di amido.
I limiti precisi del regno delle Piante, per quanto riguarda gli organismi inferiori e in particolare unicellulari, sono stati oggetto di valutazioni discordanti tra gli studiosi.
Inizialmente, il regno delle Piante (più esattamente il regno Vegetale, v. sotto) comprendeva anche organismi eterotrofi, come i Funghi, e tutti i batteri. Successivamente, le Piante erano state ristrette ai soli organismi autotrofi pluricellulari, rimandando tutti gli organismi unicellulari anche autotrofi al regno dei Protisti.
Oggi prevale la tendenza a riportare nel regno delle Piante gli organismi unicellulari autotrofi, purché eucarioti. Ciò si applica in particolare alle alghe verdi, tradizionalmente incluse nei Protisti; esse farebbero parte del regno delle Piante, perché hanno cellule con le pareti di cellulosa, contengono lo stesso tipo di clorofilla delle piante terrestri e producono amido con la fotosintesi.
Nel capitoletto dedicato alla sistematica, vengono presentate anche altre posizioni, come quella degli studiosi che considerano ancora oggi le Piante un gruppo tassonomico ben circoscritto, dal quale ribadiscono l'esclusione delle alghe[2].
Ancora più controversa è la collocazione delle alghe rosse o Rodofite, che hanno una parentela meno stretta delle alghe verde con le piante superiori.
Rimangono unanimemente esclusi i procarioti capaci di fotosintesi, in particolare il gruppo delle alghe azzurre (più correttamente chiamate Cianobatteri).
Per la loro semplicità strutturale e la stretta vicinanza filogenetica, le alghe verdi vengono considerate antenate delle piante terrestri. Secondo questa ipotesi, circa 400 milioni di anni fa alcune alghe verdi d'acqua dolce (le Caroficee o le Carofite secondo i diversi inquadramenti tassonomici), facevano capolino sulle rive dei laghi esposte per breve tempo all'aria. Queste sottili fasce verdi intorno alle zone d'acqua erano l'unica vegetazione sulla terraferma, allora completamente deserta.
Nell'Ottocento, le piante venivano incluse nel più vasto – ed allora poco conosciuto – Regno Vegetale, che comprendeva anche tutti i tipi di alghe, i funghi, i batteri e i licheni. Oggi funghi e batteri sono assegnati a ben diversi regni tassonomici, i licheni sono riconosciuti come organismi formati dalla simbiosi di un'alga e di un fungo, mentre le alghe sono state disperse, a seconda dei gruppi, in ambiti tassonomici molto differenziati e tuttora controversi.
Nel corso della complessa storia della tassonomia del mondo vegetale, i continui cambiamenti apportati dai botanici sistematici hanno così generato la produzione di diverse categorie, basate soprattutto su distinzioni morfologiche e riproduttive. Anche se molti di essi sono ufficialmente in disuso, questi gruppi rimangono tuttora utilizzati in botanica perché offrono una rapida comprensione delle differenze mostrate dagli organismi vegetali, a seguito di una diversa complessità tracciata dal cammino evolutivo.
La tabella che segue offre un quadro delle divisioni del Regno delle Piante; si tenga conto dell'esistenza di un dibattito in corso, che è illustrato per quanto possibile nelle note e nella discussione che viene dopo la tabella.
Classificazione prima di Linneo.
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Il primo tentativo di classificazione di cui siamo a conoscenza è l'opera in nove libri Historia Plantarum di Teofrasto (370-285 a. C.) che classificò 480 piante in base al portamento, (alberi, frutici, suffrutici ed erbe) e ad alcune caratteristiche floreali.
Altro autore degno di nota nell'antichità fu Dioscoride un botanico greco, nato in Cilicia nel I° secolo a.C., che scrisse 5 volumi sulle piante medicinali che per secoli, vennero tradotte in tutti i paesi del mondo conosciuto.
Nei secoli seguenti, e per tutto il medioevo, lo studio della botanica si limitò allo studio delle proprietà delle piante medicinali, senza ulteriori apporti scientifici, ad esclusione del botanico padovano Alberto Magno (1193 – 1280), che con l'opera De vegetalibus si distacca dalle opere fino allora prodotte e tramandate (con nozioni il più delle volte di pura fantasia), descrivendo accuratamente e con precisione le specie trattate, sviluppando grazie all'osservazione diretta in tutta Europa, la prima teoria sulla mutabilità della specie, che molti secoli dopo verrà ripresa da Darwin; egli propose inoltre una classificazione dei vegetali che riprendeva in parte quella di Teofrasto, e che riportiamo di seguito:
    Piante prive di foglie
    Piante con foglie
    Piante con corteccia e midollo
    Piante con tunica
    Erbacee con nodi
    Legnose con nodi
Solo nel XVI° secolo, si ebbe la svolta nello studio sistematico delle piante su basi scientifiche grazie ad alcuni botanici (stimolati dalla scoperta di nuove specie, in seguito all'esplorazione di nuovi continenti, che rendevano impellente una nuova classificazione), come l'aretino Andrea Cesalpino (1519 -1603), il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522 – 1605), e all'opera di Gaspard Bauhin (1560 – 1624) di Basilea, che pubblicando Pinax theatri botanici (1596), introdusse elementi di riflessione sulla classificazione delle piante seguita fino ad allora, cercando di individuare dei gruppi omogenei di piante, tenendo conto delle loro somiglianze.
Successivamente il naturalista inglese John Ray (1628-1705), propose un nuovo sistema di classificazione, che prendeva in considerazione il più grande numero possibile di caratteristiche morfologiche dei fiori e delle foglie; cui seguì l'ideazione del termine famiglia da parte di Pierre Magnol (1638-1715) che classificò 76 famiglie di piante, mentre il concetto di genere e specie fu introdotto da Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) che stabilì una classificazione dei vegetali in base alla struttura dei fiori.
Classificazione secondo Linneo.
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Carl von Linné (1707-1778) botanico svedese, codificò la nomenclatura binomiale, di piante e animali, utilizzando due nomi in lingua latina, il primo indicante il genere e il secondo la singola specie animale o vegetale.
Il tipo di classificazione delle piante adottato da Linneo, noto come Sistema sessuale, si basava essenzialmente sui rapporti numerici e sulla morfologia di stami e pistilli, suddividendo le piante in 24 classi, che riportiamo di seguito:
    I Monandria
    II Diandria
    III Triandria
    IV Tetrandia
    V Pentandria
    VI Esandria
    VII Ettandria
    VIII Ottandria
    IX Enneandria
    X Decandria
    XI Dodecandria
    XII Icosandria
    XIII Polyandria
    XIV Didynamia
    XV Tetradynamia
    XVI Monadelphia
    XVII Diadelphia
    XVIII Polyadelphia
    XIX Syngenesia
    XX Ginandria
    XXI Monoecia
    XXII Dioecia
    XXIII Polygamia
    XXIV Cryptogamia
La determinazione sistematica di Linneo, in base al numero e morfologia degli organi sessuali delle piante, è stata di fondamentale importanza nel momento in cui è stata introdotta, ma ha anche costituito più tardi un limite al progresso della classificazione delle piante.
La classe Cryptogamia era divisa in quattro ordini che ne testimoniano la sua assoluta eterogeneità: Alghe, Funghi, Felci e Muschi.
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LA MELA.
La mela è forse il prodotto a cui il nome del Trentino è piu’ legato. E questo non a caso. I terrazzi soleggiati della Val di Non e della Val di Sole, il fondovalle lungo il corso del fiume Adige, l’Alto Garda e la Valsugana sono le zone in cui la coltivazione di questo frutto è piu’ estesa, in quanto favorita dalle particolari condizioni climatiche. Il Trentino è infatti l’altopiano frutticolo più ampio d’Europa. Nel 2003 la Val di Non ha ottenuto dalla Comunità Europea il prestigioso riconoscimento della D.O.P. – Denominazione di Origine Protetta – che conferma la qualità del territorio e delle mele prodotte in tale area.

Povera di sodio, ricca di potassio e vitamine, la mela fornisce un quarto del fabbisogno quotidiano di vitamina C. Con solo il 12% di zuccheri si adatta bene anche al regime alimentare dei diabetici, mentre la presenza di antiossidanti la rende utile nella lotta ai radicali liberi. Inoltre può costituire un buon aiuto per la cura della propria pelle: vanta infatti proprietà rassodanti, antirughe e toniche.

Golden Delicious.
È la varietà più diffusa in Trentino, dove esprime al meglio le proprie qualità. Forma leggermente allungata e colore giallo intenso, diventa leggermente rossa nella parte più esposta al sole. Ha una polpa finissima, succosa e molto croccante; il gusto è zuccherino e aromatico.

Renetta Canada.
La renetta canada è forse la meno invitante all’aspetto visivo per la forma schiacciata, il colore non propriamente intenso e una rugginosità diffusa, ma è una mela che ha fatto grande il nome della Val di Non. E’ la mela che maggiormente si adatta alle preparazioni gastronomiche. Ottime le mele al forno, le mele in camicia, le crostate, le torte di mele e l'inimitabile strudel, una ricchezza di profumi e di aromi che ricordano pienamente le valli del Trentino.

Red Delicious.
La classica mela rossa,  inconfondibile per la brillante colorazione, la forma allungata e le cinque punte sotto. Il suo colore è intenso, la sua buccia è liscia, leggermente cerosa, la sua pasta è compatta croccante poco acida, mediamente aromatica e dolce.Altre varietà coltivate sono Granny Smith, che matura nel primo autunno; Royal Gala, a maturazione decisamente precoce, quasi estiva; Morgenduft, riconoscibile per la forma leggermente appiattita e le dimensioni notevoli.

I PICCOLI FRUTTI.
Piccoli nelle dimensioni, ma grandi nel gusto. Stiamo parlando di fragole, fragoline, lamponi, more, mirtilli e ribes, che da sempre crescono spontaneamente in queste terre di montagna. Le fragole si coltivano principalmente in Val dei Mocheni, in Valsugana e sull’Altipiano di Piné dai cinquecento agli oltre milleduecento metri di quota. Stessa cosa per le fragoline selvatiche, il più caratteristico dei frutti di bosco: fragili e delicate ma forti in aroma e profumo. Fino ai 1500 metri di altitudine cresce per tutta l'estate una particolare varietà di lamponi, dal colore rosso intenso e dalla forma leggermente allungata, chiamati “ampòmole”.
A questa stessa famiglia appartengono le more, dal colore nero brillante e dall’elevata succosità. I mirtilli neri e rossi, maturano oltre i mille metri, soprattutto nell’alta Val dei Mocheni e sulle pendici del Lagorai. Il ribes è un frutto a grappolo le cui bacche vantano un aroma diverso a seconda della colorazione: rossa, nera o bianca. I piccoli frutti sono ottimi in pasticceria, nella preparazione di torte e semifreddi, nei gelati e nelle macedonie ma non disdegnano nemmeno l’abbinamento con piatti salati tipici di questo territorio.
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Ciliegie.
In Italia se ne conoscono diverse specie, coltivabili fino ai mille metri di quota in zone riparate dai venti primaverili. In Trentino, in particolare sui terreni della Valsugana, quello tradizionale è il ciliegio dolce tardivo, che permette la raccolta dei frutti da giugno fino all’inizio di agosto.

GLI ORTAGGI.
Tra la Vallagarina e la bassa Valle del Sarca si trova un’oasi naturale particolarmente indicata per la produzione biologica ed integrata: è la Val di Gresta, conosciuta anche come “l’orto biologico del Trentino”. Sono la diversità e la varietà del terreno a spiegare la vocazione di questa Valle alla coltivazione di ortaggi, che consentono di collocare ciascuna specie nell’ambiente più adatto, ma soprattutto la singolare posizione geografica. L’esposizione a sud e la vicinanza del lago di Garda infatti, regalano una temperatura e un clima favorevoli anche ad altitudini notevoli (1400 metri s.l.m.).¶L’orticoltura è praticata a pieno campo su piccoli appezzamenti di terreno sostenuti da muri a secco. Patate, cavoli cappucci, carote, sedano rapa, porri, cavolfiori, cicorie, lattughe, fagiolini, cipolle, rape: tutti prodotti biologici sicuri e facilmente identificabili, contrassegnati sulla confezione da una coccinella. Il Consorzio Ortofrutticolo Val di Gresta ha come motto “coltivare senza usare veleni, nutrire i campi con concimi naturali, perché la qualità del cibo dipende dalla salute della terra”.

I FORMAGGI.
L’arte di saper fare il formaggio si è radicata in Trentino da centinaia di anni. Una passione antica il cui segreto è racchiuso principalmente nella qualità del latte e nella tecnica di trasformazione tradizionale che, conservando tutte le fragranze e i sapori dell’erba fresca di montagna, regala prodotti d’alpeggio genuini e autentici. Sono circa ottomila i capi di bestiame che trascorrono l’estate sui prati in quota, pascoli verdissimi che occupano più del 50% del territorio.

Una parte del latte prodotto ancora oggi viene lavorato direttamente nelle circa ottanta malghe autorizzate, l’altra arriva invece nei caseifici, dove modernità e tradizione convivono per mantenere inalterati i gusti di un tempo. La salubrità dei nostri prodotti d’alpeggio e caseari, oltre ad essere custodita dall’aria pulita delle Alpi e dall’alimentazione naturale del bestiame, è tutelata da un severo disciplinare voluto dall’associazione dei produttori trentini. Un regolamento che segue la nascita dei formaggi in tutte le diverse fasi, dall’alimentazione delle vacche, ai controlli sul latte appena munto, alla stagionatura e alla marchiatura delle forme.

Il Trentingrana.
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Nutriente, delicato e fragrante, il Trentingrana può impreziosire ogni piatto, può essere gustato da solo, in compagnia del miele o abbinato a un frizzante Trento D.O.C.. Prodotto dal 1926 solo con latte selezionato, caglio e sale senza l’aggiunta di conservanti, si ottiene dopo oltre 20 mesi di maturazione. Ne vengono prodotte solo cento mila forme all’anno. La Spressa delle Giudicarie.

La Spressa.
La Spressa è un formaggio da pasto che vanta la denominazione di origine protetta (D.O.P.). È il più conosciuto delle Giudicarie e si caratterizza per la varietà dei sapori, da dolci a intensi e piccanti, in base ai mesi di stagionatura. Alla pratica di pressare le forme o ai numerosi processi di scrematura che ne caratterizzano il processo di produzione deve probabilmente l’origine del suo nome.

l Casolèt.
Un tempo in Val di Sole il Casolèt si produceva con il latte intero solamente in autunno, come scorta alimentare per l’inverno. Da formaggio di casa per eccellenza è diventato oggi una piccola grande rarità. Si consuma fresco dopo circa trenta giorni di stagionatura ed è ideale per preparare le torte salate.

Il Puzzone di Moena.
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Il segreto del Puzzone, così chiamato per l’intenso aroma, sono la qualità del latte e la pratica della spugnatura giornaliera delle forme durante la stagionatura: un’usanza dall’origine sconosciuta approdata nelle valli di Fiemme e Fassa in tempi remoti. Conosciuto dai ladini come “Spretz Tzaorì” è presidio Slow Food ottenuto da latte crudo e se prodotto in estate porta una “M” di malga come marchio.

Il Vezzena.
La tradizione vuole che il Vezzena venga prodotto sull’omonimo altipiano nei caseifici di Lavarone e Folgaria. Da tavola e da grattugia, saporito e leggermente piccante, è un formaggio che può arrivare a una stagionatura di due anni, mentre gli aromi che sprigiona sono diversi a seconda del periodo del pascolo. Realizzato con latte crudo è divenuto un presidio Slow Food.
 
 
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lucanicatrentina
I SALUMI.
In passato, i contadini vivevano in povertà senza un regime alimentare vario; quindi gli insaccati rappresentavano l’unico apporto di proteine e grassi animali. Essi rispondevano inoltre al bisogno fondamentale di conservare per lunghi periodi le carni. Per questo, ogni casa in Trentino era dotata di una “càneva” o di un “vòlt” destinato alla stagionatura dei salumi, o di un caminetto dove affumicare le carni.

Lucanica trentina.
La lucanica stagionata, presidio Slow Food, ha ricette diverse a seconda delle aree geografiche, tutte riconosciute come tipicità. Da gustare soprattutto insieme alla polenta e alla torta di patate, viene confezionata con carne fresca di suino, sale, pepe nero macinato, aglio tritato e rimane appesa a stagionare dai quaranta giorni ai tre mesi.

Mortandela della Val di Non.
La lavorazione è artigianale: le carni del maiale vengono appallottolate manualmente e adagiate su assi di legno cosparse di farina di grano saraceno. Dopo due o tre giorni di stagionatura se consumata cotta, e almeno un mese se cruda, la mortandela della Val di Non, Presidio Slow Food, viene gustata in abbinamento a polenta o verdure lessate.

Ciuìga del Banale.
Da autunno a marzo nella zona del Banale si produce questo insaccato fresco di carni miste, suine e bovine, e rape. La storia di questo prodotto, presidio Slow Food, racconta tempi difficili in cui le famiglie vivevano in estrema povertà e aggiungendo ai resti delle carni, la rapa, si garantivano la sussistenza.

Carne salada del Trentino
La carne salada, espressione dialettale che indica la carne salmistrata, è una delle grandi specialità trentine. Originaria del Basso Sarca, oggi presente in tutto il Trentino, viene prodotta lasciandola 20-25 giorni in una miscela di sale grosso, alloro, pepe nero in grani, bacche di ginepro, aglio e rosmarino. Servita abitualmente con i fagioli sia cruda sia cotta, è una carne magra, di colore rosso rubino e gradevolmente aromatica.
TROTE E SALMERINI.
Per le peculiarità delle sue acque il Trentino rappresenta uno dei luoghi simbolo della troticoltura italiana, che si è diffusa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Qui il pesce viene allevato nelle acque pulite e ben ossigenate delle sorgenti che sgorgano dai ghiacciai dolomitici, in un habitat ideale che garantisce qualità e genuinità. La freschezza di queste fonti, inoltre, fa sì che le trote impieghino tra i diciotto e i ventiquattro mesi per raggiungere la dimensione ideale: una crescita lenta che porta una miglioria delle proprietà organolettiche.Il rigoroso rispetto del disciplinare di produzione e l’adozione di un piano di alimentazione costituto esclusivamente da mangimi controllati assicurano la qualità superiore delle nostre trote e dei salmerini di montagna. Non solo: l’utilizzo di farine di gambero e di farine ottenute dal lievito consente di ottenere anche una “salmonatura naturale”.

Trota iridea.
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La trota, unica per la magrezza e la delicatezza della carne, ricca di proteine nobili e di sali minerali, facilmente digeribile, è considerata un alimento prezioso all’interno di un regime dietetico equilibrato. Molto apprezzato il suo apporto di “omega 3”, particolarmente indicati nella prevenzione di malattie cardiovascolari, e il bassissimo contenuto di colesterolo.Prodotti freschi tradizionali, quali la trota intera già pulita o il filetto, pronti da cuocere, come i tranci panati, oppure da consumare direttamente come il carpaccio, i filetti affumicati e marinati, le polpette e il sugo. Davvero stuzzicanti sono poi gli hamburger, pensati in particolar modo per i più piccoli.

Salmerino.
Di aspetto simile alla trota, il Salmerino se ne distingue per la colorazione più vivace, caratteristiche le numerose macchiette rosse sui fianchi, per la forma maggiormente slanciata e per il gusto ancora più delicato, che lo rende un pesce indicato anche nelle grandi occasioni.Fonti storiche attestano che esso era già apprezzato dal cardinale Madruzzo durante il Concilio di Trento e in epoca austro-ungarica da Francesco Giuseppe, che amava gustarlo durante le battute di caccia. Proprio per soddisfare questa predilezione dell’imperatore il Salmerino è stato immesso in molti laghi alpini.

L’OLIO DEL GARDA.
Olive_oil_from_Oneglia
Gli oliveti che danno origine all’Olio Extravergine d’Oliva del Garda trentino sono formati da alberi antichi e si trovano sulle colline che circondano Riva del Garda, Arco, Nago, Torbole, Tenno e Dro. Le olive vengono raccolte a mano e consegnate al nostro frantoio. L’estrazione dell’olio avviene a temperatura controllata (30 gradi) e solo con mezzi meccanici in modo da conservare intatta la qualità. Il colore è dorato e limpido, con riflessi tendenti al verde. In bocca è delicatamente fruttato e piccante con aromi di mandorla e fieno. L’armonia è dovuta ad un perfetto equilibrio delle sensazioni prodotte alla vista, al tatto, all’olfatto e al palato. L’olio extravergine d’oliva del garda trentino è alla base di un modello di alimentazione che ha dimostrato di essere un valido strumento di prevenzione contro le malattie cardio-vascolari.
LA FARINA.
Nella Valle del Chiese si coltiva il “Nostrano di Storo”, particolare varietà di mais da cui si ricava la farina gialla di Storo, ingrediente principe per la vera polenta di montagna. Colore rosso corallo dei chicchi, forma allungata delle pannocchie e granella lucida come il vetro, sono le sue caratteristiche. La polenta, tradizionalmente prodotto umilissimo, oggi è tra i protagonisti della buona tavola trentina. Gustata per lo più in compagnia di pietanze in umido, può essere cucinata in vari modi. Particolare è la “Carbonera”, una polenta particolarmente saporita preparata con il formaggio locale, la Spressa delle Giudicarie, del burro di malga e della Lucanica trentina.

IL PANE.
pane trentino
L’arte della panificazione, attività che esiste da millenni, è radicata sul nostro territorio a tal punto da essere parte integrante della cultura locale e della tradizione popolare. Il pane, l’alimento principe nell’immaginario collettivo, è un prodotto ricco di sapori e di profumi fortemente radicati nella memoria di ognuno.

Questo alimento si è continuamente modificato, adattandosi alle usanze ed ai luoghi in cui veniva prodotto e consumato. Nella nostra provincia le regole, che riguardano la produzione del pane, sono raccolte negli antichi statuti di Trento che risalgono fino all’anno 1183. I fornai trentini venivano chiamati pistori.

Oggi le tecniche e gli strumenti di lavorazione si sono sviluppati, però il pane fresco trentino non ha mai smesso di essere frutto del lavoro manuale. Con mani esperte, immancabilmente infarinate e tocchi sapienti, i panificatori trentini preparano le tante forme stivate nei cassettoni dei negozi.

Sono loro a dosare gli ingredienti per caratterizzare il sapore, la consistenza, la croccantezza delle molte tipologie del pane fresco. Sono loro ad imprimere nel pane, pezzo per pezzo, quelle sfumature e quei particolari che possono solo derivare da una lavorazione tradizionale. Il lavoro dei fornai è insostituibile e oggi come ieri essi continuano a ripetere quotidianamente quello che nell’immaginario collettivo viene vissuto quasi come un rito, la preparazione del pane, migliorandone le caratteristiche per renderlo sempre più rispondente alle esigenze ed alle attese della collettività.
 
 
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case_legnoDopo aver preso piede nel Nord Europa, iniziano a diffondersi anche in Italia: le abitazioni in legno consentono di ottenere un risparmio energetico e un ambiente abitativo più sicuro. Senza penalizzare l'estetica.

L'ultima moda dell'edilizia riporta in voga una tradizione antichissima: quella delle case in legno. Le costruzioni in questo materiale sono la normalità in Scandinavia e nell'Europa settentrionale e iniziano a diffondersi anche da noi. Perché garantiscono vantaggi in termini ambientali e di resa energetica e, grazie ai progressi del design, non sono più penalizzate dall'“effetto chalet”.

Tutti i pregi del legno.
Leggero ma molto resistente, il legno strutturale, cioè quello adatto alla costruzione di edifici, proviene soprattutto da abeti, larici e castagni. È un buon isolante, sia termico che acustico, ed è anche molto più elastico dell'acciaio, caratteristica che lo rende particolarmente adatto alle zone a rischio sismico. Una struttura in legno può infatti oscillare, ma molto difficilmente crolla. Contrariamente a quanto si pensa, è anche più sicura in caso di incendio: il materiale utilizzato è selezionato appositamente per essere poco infiammabile ed è spesso protetto da cappotti o pannelli di cartongesso. Nel caso in cui le fiamme riescano comunque a divampare, l'eventuale crollo della struttura è molto più lento che nelle case tradizionali, dove l'acciaio può raggiunge il punto di collasso (cedendo di schianto) già dopo 15 minuti.

Ecologico e moderno.
Grazie alle sue caratteristiche, il legno è il materiale ideale per costruire una “casa passiva”, ovvero un edificio completamente autonomo a livello di energia e riscaldamento. Chi avesse paura di ritrovarsi ad abitare in una baita di montagna – splendida sulle Alpi, fuori luogo in Maremma o nella periferia di Milano – non deve preoccuparsi. Consapevoli del problema, progettisti e architetti hanno da tempo sviluppato una serie di soluzioni che consentono di adattare l'estetica della casa in legno alle necessità di tutti. Spesso la facciata esterna viene protetta con un cappotto intonacato o con uno strato di mattoni. Se volete poi ispiravi a soluzioni di design, sul sito BCasa trovate un'intera collezione di meraviglie in legno, che non stonano nemmeno in grandi metropoli come San Francisco o Seattle.

Non solo legno.
In tempo di crisi, una casa completamente in legno può avere costi proibitivi. Molte aziende stanno quindi iniziando ad affiancare a questo materiale altri meno costosi e ancora più ecologici, perché non provengono dall'abbattimento delle piante. Il bambù è utilizzato sempre più spesso non solo per la costruzione dei mobili ma anche come tessuto per tende e tovaglie e per rivestire i pavimenti. Stessa cosa avviene con il sughero, che ha il vantaggio di essere idrorepellente, resistente al fuoco e fonoassorbente. La paglia è utilizzata all'interno delle pareti in legno come isolante, per diminuire la dispersione termica.

Ecco dove fare una prova.
Per sperimentare la comodità delle case in legno, potete passare una notte in uno dei molti alberghi costruiti in questo materiale, presenti in Italia soprattutto sulle Alpi. Come l'hotel Bad Moos in Alta Pusteria, (Via Val Fiscalina 27, Sesto-Moso, Bolzano, tel. 0474.713100) o il biohotel Theiner's Garten (Via Andreas Hofer 1, Gargazzone, Bolzano, tel. 0473.490880 ), costruito ad incastro, senza colla o viti. Se preferite qualcosa di più intimo, potete optare per un bed &breakfast: Le Petit Nid (Fraz. Evette 15, Valtournenche, Aosta, tel. 333.3696313) e il B&B Anita (Via Trento 36, Spormaggiore, Trento tel. 0461.653040) offrono la possibilità di alloggiare in stanze completamente in legno.

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