vino rosatoLa moda del vino si è diffusa moltissimo in questi ultimi anni, ma da qui a saperne davvero qualcosa, il passo non è breve
Per cui, anche senza essere un sommelier diplomato, è facile trovarsi, al ristorante, a scegliere il vino per tutti. “Fai tu che ci capisci”.

Per affrontare con successo questa delicata operazione, chi vi scrive, visto che gli capita abbastanza spesso, ha affinato nel tempo una sorta di procedura, un protocollo del governo democratico della scelta del vino. Intanto si prende nota mentalmente dell’andazzo delle ordinazioni. Quindi, ricevuto l’incarico, si finge di ignorarle per effettuare una sorta di pre-sondaggio sulle inclinazioni generali dei commensali: “allora, datemi un brief: rosso, bianco, bollicine...?” L’esito più frequente, se non siete a una classica cena d’estate a base di pesce, è “Rosso, rosso!” “Ah, io solo rosso”.

A questo punto voi, che sapevate già la solfa, cercherete di stringere ulteriormente il campo: “Rosso importante, strutturato o più leggero?” Soprattutto se ci sono donne, vi seguiranno sul “più leggero”, magari con la richiesta finale da parte di un maschio orgoglioso del tipo “Dai, una via di mezzo...” Se invece siete alla cena estiva di cui sopra, la risposta avrà quasi un tono scandalizzato “Va beh, ma bianco, no?”.
vini marchigiani  a bacca bianca
Come dire, non stai partendo benissimo se fai ‘ste domande. Nel caso del rosso, a questo punto, avete vita facile: piazzatevi serenamente tra la Lombardia e, come si diceva ai tempi, le Tre Venezie, non tralasciando un commento che vi farà guadagnare una reputazione stratosferica: “Allora andrei sui vini d’altitudine, che a causa del riscaldamento globale, hanno guadagnato quel grado, grado e mezzo, che li rende proprio la giusta via di mezzo!” Li avete stesi. Adesso nessuno oserà contraddirvi. Ma voi volete vincere, non stravincere. Perciò tornate a loro, per condividere la scelta finale. “Vi propongo una short-list...”. Naturalmente se al tavolo ci sono dei cinefili o dei patiti del Grande Fratello (speriamo per voi, più i primi dei secondi), potete sostituire short-list con nomination.

Le nomination saranno due vini scelti a vostra simpatia tra i seguenti: Sassella di Valtellina (l’Inferno è un po’ demodé), Schioppettino e Refosco friulani, Pinot Nero (occhio alla gradazione, alcuni sono tosti!) e Lagrein alto-atesini. Eventualmente, scendendo di altitudine ma non di latitudine, Curtefranca (Lombardia-Franciacorta) e Valpolicella. Il gioco è fatto: seguite l’orientamento e confermate al sommelier, verificando che l’età del vino non sia minore di due o maggiore di cinque anni: con meno di 40 euro (cioè meno di 7 euro a testa, se siete in sei) i vostri amici berranno bene e voi avrete rafforzato la vostra reputazione di esperto e di galantuomo. Che di questi tempi, non è proprio una banalità. Ah già, la cena di pesce! Seguiteci, ne parliamo la prossima volta!
vini marchigiani  a bacca rossa
Se ti interessa approfondire il tema ecco una vera e propria guida:

I vini ed i vitigni piú famosi d'Italia
 
 
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calabria map

Bergamotto.
L’origine del Bergamotto è incerta ed alcuni ritengono che derivi dalla mutazione di altra specie agrumaria. agrumi calabriaLa leggenda vorrebbe far derivare il bergamotto dalle Isole Canarie nella città di Berga (Spagna), dove sarebbe stato importato da Cristoforo Colombo intorno alla fine del Quattrocento. Secondo Guido Rovesti,
l’etimologia più attendibile della parola bergamotto è fornita da Sicur Barbe nel libro Le parfumeur francais” pubblicato nel 1693; egli fa derivare il nome bergamotto dalla somiglianza del frutto con la pera bergamotta, vocabolo derivato dal turco -Beg-armudu “la principessa delle pere”. Nicola Parisi ha il merito, intorno al 1750, di aver impiantato a Reggio Calabria, presso il fondo denominato “Giunchi”, il primo bergamotteto; ne fece seguito una rapida estensione della coltivazione. Anche se alcuni botanici hanno considerato il bergamotto un “ibrido” derivato dalla limetta dolce e dal limone, con i quali ha alcuni caratteri in comune, oggi prevale la convizione che trattasi di una specie a sé, forse frutto di un innesto casuale, definita dai botanici col nome di Citrus Bergamia, Risso, appartenente alla famiglia delle Rutacee, genere Citrus.

La pianta di bergamotto non supera i quattro metri di altezza; ha rami irregolari e foglie di colore verde scuro, alterne, oblunghe, prive di peluria e ricche di ghiandole contenenti olio essenziale. Tondeggianti, qualche volta sferici, con buccia liscia e spessa che va dal verde al giallo con il progredire della maturazione, con un peso che va dagli 80 ai 200 grammi, i frutti del bergamotto sono costituiti:
• da una parte esterna, ricca di otricoli contenenti l’olio essenziale e di pigmenti, colorati dal verde al giallo, detta epicarpo o flavedo. L’epicarpo è ricoperto all’esterno da una cuticola sottile contenente gli stomi;
• Da una parte sottostante, costituita da un tessuto bianco e spugnoso composto per il 20% da sostanze pectiche, denominata mesocarpo o albedo;
• Da una parte interna detta endocarpo o polpa, che rappresenta il 65/70% del frutto. L’endocarpo contiene segmenti o spicchi, distribuiti intorno ad asse centrale detto medula di composizione spugnosa come l’albedo. Gli spicchi sono avvolti da una leggera cuticola e contengono al loro interno vescichette con il succo. I semi, infine, sono situati in prossimità dell’asse centrale.
Il Bergamotto comincia a fiorire nel corso degli ultimi giorni di marzo e per tutto aprile. Il fiore delle esperidee, viene generalmente chiamato con il nome di zagara: dalla voce siciliana dell’arabo zagara, “fiore”; per questo il fiore del bergamotto distingue Reggio Calabria come “città della zagara”, oltre che, fin dall’antichità, come “città della Fata Morgana”.

CONSISTENZA DELLE COLTURE – CLIMA – TERRENO
Benché numerosi tentativi siano stati effettuati in diverse aree agrumarie del mondo (dagli Stati Uniti d’America in Florida e California, agrumi calabriaall’Africa del Nord, al Sud America, alla Costa d’Avorio) per ottenere l’acclimatazione di questa pianta, in definitiva, ancor oggi si può affermare che la quasi totalità della produzione mondiale si trova concentrata in Calabria, in particolare nella provincia di Reggio, in quella ridotta striscia di terra che, lungo la costa e per una profondità di circa cinque chilometri, si apre all’ingresso dello Stretto di Messina (versi Scilla con le propaggini fino a Rosarno) e si estende fino a Roccella Jonica, compressa tra le propaggini estreme dell’Aspromonte e i mari Jonio e Tirreno, in provincia di Reggio Calabria. I bergamotteti più rigogliosi sono situati lungo le fiumare e i valloni, in terreni a base silicea, ma vicini al calcareo argilloso. La pianta di bergamotteto predilige l’esposizione a sud, risente molto degli sbalzi termici, in modo particolare delle nebbie di primavera, tipiche del litorale calabrese, che i contadini chiamano lupe di mare e a cui si deve la caduta dei frutti immaturi di bergamotto, comunemente chiamati bergamottella. La superficie coltivata a bergamotto si è oggi ridotta al di sotto di 1500 ettari; negli anni Trenta era di 2400 ettari. Il numero delle imprese produttrici è di circa 1500. Nella provincia di Reggio Calabria operano 45 industrie di trasformazione. I dati forniti dal Consorzio del bergamotto, per l’annata 1995-96 indicano in 16.000 tonnellate i frutti di bergamotto avviati alla trasformazione con una resa in essenza pari a 8.120 tonnellate. Da una recente indagine si valuta che gli occupati nella bergamotticoltura e attività connesse sono circa 3.000, per un totale di 280.000 giornate lavorative.

RACCOLTA DEI FRUTTI
I frutti di bergamotto vengono raccolti, da ottobre a dicembre, quando la giusta turgidezza della buccia oppone una maggiore resistenza alla pressione agevolando la rottura degli otricoli e la fuoriuscita dell’essenza. Una volta la raccolta dei bergamotto si faceva in appositi panieri e sporte rivestiti di tela per non deteriorare il frutto, oggi in meno romantiche cassette di plastica.

CARATTERI ORGANOLETTICI DELL’ESSENZA
L’essenza di bergamotto è un liquido, contenente a volte un deposito solido, di colore che va dal verde al giallo verdastro e odore fresco, gradevole, delicato che ricorda la buccia del frutto fresco. Utilizzazione dell’essenza: con i suoi 350 componenti chimici l’olio essenziale di bergamotto è indispensabile nell’industria profumiera internazionale avendo la funzione non solo di fissare il bouquet aromatico dei profumi, ma anche di aromatizzare le altre essenze contenute esaltando le note di freschezza e fragranza.agrumi calabria Oltre che nella vasta gamma di acqua da toilette, profumi, deodoranti, ciprie, lozioni antiforfora, rinfrescanti contro la caduta dei capelli, saponi profumati ad alto potere disinfettante, prodotti antisolare, sali da bagno, dentifrici, l’essenza di bergamotto viene impiegata nell’industria farmaceutica per il suo potere antisettico e antibatterico, nella sepsi chirurgica, in odontoiatria, oftalmologia, ginecologia, dermatologia, tanto da essere inserita nelle farmacopee di diversi paesi. Il primo a rivelare le proprietà balsamiche del bergamotto fu un medico: Francesco Calabrò il quale osservò che le ferite alle mani degli addetti alla raccolta e alla lavorazione del bergamotto non andavano in suppurazione, anzi guarivano rapidamente. La pubblicazione degli studi di Calabrò (1804) diede il via alle ricerche su questo frutto già usato centocinquanta anni prima dalle popolazioni del litorale reggino per curare le febbri malariche. L’essenza è infine usata nell’industria alimentare e dolciaria locale come aromatizzante di liquori, thè, caramelle, canditi, gelati, torte, bibite, e nella liquoreria è molto apprezzato il delizioso bergamino. Per finire si ricorda il legno di bergamotto e le tabacchiere di bergamotto. Il legno di bergamotto semiduro e compatto nella trama, viene ancora lavorato dai contadini dell’area grecanica, che con paziente maestria costruiscono arcaici balocchi e oggetti di uso domestico. Le tabacchiere sono costruite utilizzando il frutto del bergamotto abilmente svuotato dall’endocarpo e lasciato asciugare all’ombra fino a quando, più plasmabile, viene riversato e sagomato nella forma voluta. Le tabacchiere, conservanti il caratteristico profumo, si prestano ad essere artisticamente decorate e utilizzate per il tabacco da pipa e da fiuto e per altre specialità farmaceutiche e dolciarie all’aroma di bergamotto.

SISTEMI TRADIZIONALI DI ESTRAZIONE DELL’ESSENZA
La agrumi calabriasuperficie oggi coltivata a bergamotto è di circa 1500 Ha, con una produzione media di 100.000 Kg. di essenza. Per ottenere un Kg di essenza occorrono 200 Kg di frutti. Gli addetti del settore sono stimati in 4.00 unità. Nel processo manuale il frutto viene tagliato in due parti e cavato abilmente, mediante un particolare e affilatissimo coltello a cucchiaio detto rastrello. La scorza così separata della polpa viene sfumata. La sfumatura consiste nello strizzare abilmente le calotte del frutto, private della polpa, contro una grossa spugna naturale che ne accoglie l’essenza che sprizza dagli otricoli essenziferi. La spugna, impregnata di essenza, si spreme a sua volta dentro un recipiente di terracotta smaltata detto con colina al quale la stessa è assicurata, durante tutta l’operazione mediante una traversa appoggiata ai bordi superiori. Per semplice decantazione, infine l’essenza viene separata dagli altri liquidi e dai detriti che si producono nella lacerazione dei tessuti.

L’alto costo della manodopera e l’aumento della produzione, sconsigliarono il sistema manuale a favore del metodo di estrazione a macchina. Sotto il governo dei Borboni, venne bandito un apposito concorso, del quale risultò vincitore il reggino Nicola Barilla nel 1844 con la Macchina per l’estrazione dell’essenza di bergamotto, perfezionata in seguito da Luigi Autieri migliorandone le capacità lavorative. Questa macchina, detta comunemente calabrese, consta essenzialmente di due scodelle o coppe di ghisa del diametro di circa 30 cm, tra le quali i frutti, preliminarmente sottoposti a calibratura e che costituiscono la paria, vengono compressi e raschiati, lasciando così sprizzare l’essenza che scola insieme ai detriti della buccia ed all’acqua di vegetazione, attraverso una finestra praticata nella coppa inferiore, in un bavano di rame o di argilla. Al termine della giornata lavorativa gli operai tolgono dalla macchina estrattiva il bavano contenente essenza e detriti. Per decantazione l’essenza viene separata dagli altri liquidi e dai detriti prodotti dalla lacerazione dei rifiuti. I detriti si introducono in sacchetti di lana detti saccotti sorretti da cavalletti che sono infine sottoposto a distillazione in appositi alambicchi per ottenere il distillato di bergamotto. Tra gli anni ’60 e ’80 due fattori hanno un po’ penalizzato la coltivazione del bergamotto: da una parte la drastica riduzione delle aree coltivate, dall’altra l’illusione di alcuni industriali profumieri di poter sostituire l’essenza naturale con quella sintetica. La coltivazione del bergamotto, la produzione e commercializzazione della sua essenza hanno costituito per oltre 50 anni fino ai giorni nostri un raro momento d’imprenditoria agricola, di respiro internazionale della Calabria.

METODO MODERNO DI ESTRAZIONE DELL’ESSENZA
La scomparsa di manodopera specializzata, la necessità di limitare i costi di trasformazione e di evitare le perdite di essenza, hanno posto il problema dell’evoluzione della lavorazione del bergamotto dal piano artigianale verso forme e sistemi di organizzazione industriali; si è giunti così all’invenzione delle macchine pelatrici ad acqua. Le macchine pelatrici sono dotate di sistemi automatici per il carico e lo scarico dei frutti. Durante l’estrazione una pioggia d’acqua spruzzata dalla sommità della camera di lavorazione, porta i prodotti della pelatura al premi detriti e infine a centrifughe a dischi per la separazione immediata dell’essenza. L’essenza ottenuta, dopo essere stata sottoposta ad analisi chimica, viene conservata in appositi ramieroni e poi distribuita in fusti saldati ed etichettati. Dalle foglie e dai rami teneri del bergamotto si ottiene per distillazione in corrente di vapore un’essenza chiamata petit grain. Infine a seconda del grado di maturazione raggiunto, si ricavano: il nero di bergamotto, l’essenza di bergamottella e il distillato di bergamottella, dai fiori per distillazione, si produce una pregiatissima essenza chiamata Neroli.

IL CONSORZIO DEL BERGAMOTTO
agrumi calabriaLa crisi di commercializzazione dell’essenza del bergamotto nei primi decenni del secolo, dovuta alla congiuntura internazionale, ma soprattutto all’insidia della produzione di essenza sintetica immessa sui mercati internazionali, determinò l’abbattimento di intere proprietà coltivate a bergamotto. I produttori fino a quel momento sostenitori della libera iniziativa, sganciata da ogni forma di regolamentazione del mercato dell’essenza, divennero in seguito sostenitori di interventi legislativi volti al controllo della produzione, alla difesa del mercato e della qualità dell’essenza. Risale al 1930 la legge istitutiva del Magazzino generale per il deposito dell’essenza di bergamotto, che sanciva l’obbligo di accompagnare l’essenza destinata alla esportazione con un certificato di analisi che ne garantisse la purezza, rilasciato dalla regia Stazione sperimentale di Reggio Calabria. Nel 1931 nasce il Consorzio di produttori di bergamotto, finché con D.M. del 29/5/1946 vede la luce il Consorzio del bergamotto con sede a Reggio Calabria, regolato oggi dalla Legge regionale n. 7 del 5/2/1977 che ha tra gli scopi principali quello di:
• Gestire l’ammasso dell’essenza
• Elaborare piani di sviluppo delle aziende produttrici
• Varare iniziative tecnico-scientifiche per il miglioramento delle coltivazione
• Promuovere l’associazionismo fra i produttori e la ricerca per il miglioramento dei processi tecnologici di lavorazione del bergamotto
• Curare la collocazione del prodotto sul mercato, garantendo ai consumatori nazionali e stranieri la genuinità del prodotto.

Cedro
Il cedro (Citrus medica) è una specie appartenente al genere agrumi calabriaCitrus, nella famiglia delle rutacee. È ritenuta una delle tre specie di agrumi da cui derivano tutti i membri del genere oggi conosciuti, assieme al pomelo ed al mandarino. Il nome cedro, derivato dalla volgarizzazione dal latino citrus, è però ambiguo, in quanto coincide con la traduzione di cedrus, nome dato alla conifera (i famosi cedri del Libano che fornirono il legno per tante imbarcazioni nel mondo antico). Ecco perché in alcuni testi per l'agrume viene usato anche il termine citro.
Oggi in Italia il cedro è principalmente coltivato e lavorato in Calabria, nella fascia costiera dell'alto Tirreno cosentino che va da Belvedere Marittimo a Tortora, denominata Riviera dei Cedri con al centro Santa Maria del Cedro, dove questo agrume cresce spontaneo.
La pianta è un arbusto che può raggiungere i 4 metri di altezza. I rametti giovani sono rossastri o violetti, con foglie lunghe fino a 20 cm. I fiori crescono in gruppi da tre a dodici e sono molto profumati; i boccioli sono rossastri, ma il fiore aperto è bianco. Il frutto è grande 20-30 cm, giallino, ovale o quasi rotondo, talvolta con una leggera protuberanza al peduncolo e un po' appuntito dalla parte opposta. La buccia è molto ruvida ed eccezionalmente spessa. Costituisce fino al 70% del frutto, per cui – tolti pure i semi e la pellicola tra gli spicchi – solo un 25-30% del cedro è edibile. Va detto però che comunque questo frutto si consuma fresco assai di rado; la caratteristica peculiare del cedro è infatti quella di produrre frutti completamente dolci o completamente agri.
agrumi calabria
Il cedro viene impiegato nell'industria alimentare per la preparazione di bibite analcoliche e frutta candita, ma la maggior parte ne viene consumata nell'industria farmaceutica per la produzione di olio essenziale. L'essenza ricavata dal cedro è però facilmente deteriorabile, per cui solitamente si usa corretta con l'essenza di cedrina.
La cedrina (Citrus medica citrea gibocarpa) è una varietà usata esclusivamente per la produzione dell'essenza. Dato infatti che il cedro è scarsamente utilizzabile come frutto fresco, si è cercato di svilupparne delle varietà che potessero essere sfruttate industrialmente. Dalla cedrina si estrae un olio essenziale con forte odore di cedro; consistente perlopiù di limonina, citrale ed altri terpeni. Mentre l'essenza originale del cedro facilmente si intorbidisce e lascia dei residui resinosi, l'essenza di cedrina rimane limpida. È dunque un eccellente sostituto, tanto che vari agronomi propendono per un totale abbandono delle coltivazioni del cedro a favore di quelle della cedrina.
Una menzione particolare va fatta del cedro giudaico o etrog (Citrus medica var. ethrog) che viene usata dai credenti ebrei nella Festività dei Tabernacoli. agrumi calabriaÈ una varietà coltivata in Grecia, Etiopia e soprattutto in Israele ma anche in Calabria nella Riviera dei cedri. A differenza di tutti gli altri agrumi, possiede un'albedo (la parte bianca della buccia) commestibile ed anzi molto succosa. Gli steroli contenuti nell'albedo sono un ottimo rimedio contro il colesterolo. Il frutto intero viene impiegato per la produzione di bibite analcoliche.
Il cedro è tra gli agrumi la specie col maggior numero di varietà; la maggiore in Italia è quella coltivata in Calabria, denominata cedro liscio di Diamante (di grosso taglio e profumata, destinata in gran parte alla canditura);
La pianta di bergamotto non supera i quattro metri di altezza; ha rami irregolari e foglie di colore verde scuro, alterne, oblunghe, prive di peluria e ricche di ghiandole contenenti olio essenziale. Tondeggianti, qualche volta sferici, con buccia liscia e spessa che va dal verde al giallo con il progredire della maturazione, con un peso che va dagli 80 ai 200 grammi, i frutti del bergamotto sono costituiti:
• da una parte esterna, ricca di otricoli contenenti l’olio essenziale e di pigmenti, colorati dal verde al giallo, detta epicarpo o flavedo. L’epicarpo è ricoperto all’esterno da una cuticola sottile contenente gli stomi;
• Da una parte sottostante, costituita da un tessuto bianco e spugnoso composto per il 20% da sostanze pectiche, denominata mesocarpo o albedo;
• Da una parte interna detta endocarpo o polpa, che rappresenta il 65/70% del frutto. L’endocarpo contiene segmenti o spicchi, distribuiti intorno ad asse centrale detto medula di composizione spugnosa come l’albedo. Gli spicchi sono avvolti da una leggera cuticola e contengono al loro interno vescichette con il succo. I semi, infine, sono situati in prossimità dell’asse centrale.
Il Bergamotto comincia a fiorire nel corso degli ultimi giorni di marzo e per tutto aprile. Il fiore delle esperidee, viene generalmente chiamato con il nome di zagara: dalla voce siciliana dell’arabo zagara, “fiore”; per questo il fiore del bergamotto distingue Reggio Calabria come “città della zagara”, oltre che, fin dall’antichità, come “città della Fata Morgana”.
CONSISTENZA DELLE COLTURE – CLIMA – TERRENO
Benché numerosi tentativi siano stati effettuati in diverse aree agrumarie del mondo (dagli Stati Uniti d’America in Florida e California, agrumi calabriaall’Africa del Nord, al Sud America, alla Costa d’Avorio) per ottenere l’acclimatazione di questa pianta, in definitiva, ancor oggi si può affermare che la quasi totalità della produzione mondiale si trova concentrata in Calabria, in particolare nella provincia di Reggio, in quella ridotta striscia di terra che, lungo la costa e per una profondità di circa cinque chilometri, si apre all’ingresso dello Stretto di Messina (versi Scilla con le propaggini fino a Rosarno) e si estende fino a Roccella Jonica, compressa tra le propaggini estreme dell’Aspromonte e i mari Jonio e Tirreno, in provincia di Reggio Calabria. I bergamotteti più rigogliosi sono situati lungo le fiumare e i valloni, in terreni a base silicea, ma vicini al calcareo argilloso. La pianta di bergamotteto predilige l’esposizione a sud, risente molto degli sbalzi termici, in modo particolare delle nebbie di primavera, tipiche del litorale calabrese, che i contadini chiamano lupe di mare e a cui si deve la caduta dei frutti immaturi di bergamotto, comunemente chiamati bergamottella. La superficie coltivata a bergamotto si è oggi ridotta al di sotto di 1500 ettari; negli anni Trenta era di 2400 ettari. Il numero delle imprese produttrici è di circa 1500. Nella provincia di Reggio Calabria operano 45 industrie di trasformazione. I dati forniti dal Consorzio del bergamotto, per l’annata 1995-96 indicano in 16.000 tonnellate i frutti di bergamotto avviati alla trasformazione con una resa in essenza pari a 8.120 tonnellate. Da una recente indagine si valuta che gli occupati nella bergamotticoltura e attività connesse sono circa 3.000, per un totale di 280.000 giornate lavorative.

RACCOLTA DEI FRUTTI.
I frutti di bergamotto vengono raccolti, da ottobre a dicembre, quando la giusta turgidezza della buccia oppone una maggiore resistenza alla pressione agevolando la rottura degli otricoli e la fuoriuscita dell’essenza. Una volta la raccolta dei bergamotto si faceva in appositi panieri e sporte rivestiti di tela per non deteriorare il frutto, oggi in meno romantiche cassette di plastica.

CARATTERI ORGANOLETTICI DELL’ESSENZA.
L’essenza di bergamotto è un liquido, contenente a volte un deposito solido, di colore che va dal verde al giallo verdastro e odore fresco, gradevole, delicato che ricorda la buccia del frutto fresco. Utilizzazione dell’essenza: con i suoi 350 componenti chimici l’olio essenziale di bergamotto è indispensabile nell’industria profumiera internazionale avendo la funzione non solo di fissare il bouquet aromatico dei profumi, ma anche di aromatizzare le altre essenze contenute esaltando le note di freschezza e fragranza.agrumi calabria Oltre che nella vasta gamma di acqua da toilette, profumi, deodoranti, ciprie, lozioni antiforfora, rinfrescanti contro la caduta dei capelli, saponi profumati ad alto potere disinfettante, prodotti antisolare, sali da bagno, dentifrici, l’essenza di bergamotto viene impiegata nell’industria farmaceutica per il suo potere antisettico e antibatterico, nella sepsi chirurgica, in odontoiatria, oftalmologia, ginecologia, dermatologia, tanto da essere inserita nelle farmacopee di diversi paesi. Il primo a rivelare le proprietà balsamiche del bergamotto fu un medico: Francesco Calabrò il quale osservò che le ferite alle mani degli addetti alla raccolta e alla lavorazione del bergamotto non andavano in suppurazione, anzi guarivano rapidamente. La pubblicazione degli studi di Calabrò (1804) diede il via alle ricerche su questo frutto già usato centocinquanta anni prima dalle popolazioni del litorale reggino per curare le febbri malariche. L’essenza è infine usata nell’industria alimentare e dolciaria locale come aromatizzante di liquori, thè, caramelle, canditi, gelati, torte, bibite, e nella liquoreria è molto apprezzato il delizioso bergamino. Per finire si ricorda il legno di bergamotto e le tabacchiere di bergamotto. Il legno di bergamotto semiduro e compatto nella trama, viene ancora lavorato dai contadini dell’area grecanica, che con paziente maestria costruiscono arcaici balocchi e oggetti di uso domestico. Le tabacchiere sono costruite utilizzando il frutto del bergamotto abilmente svuotato dall’endocarpo e lasciato asciugare all’ombra fino a quando, più plasmabile, viene riversato e sagomato nella forma voluta. Le tabacchiere, conservanti il caratteristico profumo, si prestano ad essere artisticamente decorate e utilizzate per il tabacco da pipa e da fiuto e per altre specialità farmaceutiche e dolciarie all’aroma di bergamotto.

SISTEMI TRADIZIONALI DI ESTRAZIONE DELL’ESSENZA.
La agrumi calabriasuperficie oggi coltivata a bergamotto è di circa 1500 Ha, con una produzione media di 100.000 Kg. di essenza. Per ottenere un Kg di essenza occorrono 200 Kg di frutti. Gli addetti del settore sono stimati in 4.00 unità. Nel processo manuale il frutto viene tagliato in due parti e cavato abilmente, mediante un particolare e affilatissimo coltello a cucchiaio detto rastrello. La scorza così separata della polpa viene sfumata. La sfumatura consiste nello strizzare abilmente le calotte del frutto, private della polpa, contro una grossa spugna naturale che ne accoglie l’essenza che sprizza dagli otricoli essenziferi. La spugna, impregnata di essenza, si spreme a sua volta dentro un recipiente di terracotta smaltata detto con colina al quale la stessa è assicurata, durante tutta l’operazione mediante una traversa appoggiata ai bordi superiori. Per semplice decantazione, infine l’essenza viene separata dagli altri liquidi e dai detriti che si producono nella lacerazione dei tessuti.
L’alto costo della manodopera e l’aumento della produzione, sconsigliarono il sistema manuale a favore del metodo di estrazione a macchina. Sotto il governo dei Borboni, venne bandito un apposito concorso, del quale risultò vincitore il reggino Nicola Barilla nel 1844 con la Macchina per l’estrazione dell’essenza di bergamotto, perfezionata in seguito da Luigi Autieri migliorandone le capacità lavorative. Questa macchina, detta comunemente calabrese, consta essenzialmente di due scodelle o coppe di ghisa del diametro di circa 30 cm, tra le quali i frutti, preliminarmente sottoposti a calibratura e che costituiscono la paria, vengono compressi e raschiati, lasciando così sprizzare l’essenza che scola insieme ai detriti della buccia ed all’acqua di vegetazione, attraverso una finestra praticata nella coppa inferiore, in un bavano di rame o di argilla. Al termine della giornata lavorativa gli operai tolgono dalla macchina estrattiva il bavano contenente essenza e detriti. Per decantazione l’essenza viene separata dagli altri liquidi e dai detriti prodotti dalla lacerazione dei rifiuti. I detriti si introducono in sacchetti di lana detti saccotti sorretti da cavalletti che sono infine sottoposto a distillazione in appositi alambicchi per ottenere il distillato di bergamotto. Tra gli anni ’60 e ’80 due fattori hanno un po’ penalizzato la coltivazione del bergamotto: da una parte la drastica riduzione delle aree coltivate, dall’altra l’illusione di alcuni industriali profumieri di poter sostituire l’essenza naturale con quella sintetica. La coltivazione del bergamotto, la produzione e commercializzazione della sua essenza hanno costituito per oltre 50 anni fino ai giorni nostri un raro momento d’imprenditoria agricola, di respiro internazionale della Calabria.

METODO MODERNO DI ESTRAZIONE DELL’ESSENZA.
La scomparsa di manodopera specializzata, la necessità di limitare i costi di trasformazione e di evitare le perdite di essenza, hanno posto il problema dell’evoluzione della lavorazione del bergamotto dal piano artigianale verso forme e sistemi di organizzazione industriali; si è giunti così all’invenzione delle macchine pelatrici ad acqua. Le macchine pelatrici sono dotate di sistemi automatici per il carico e lo scarico dei frutti. Durante l’estrazione una pioggia d’acqua spruzzata dalla sommità della camera di lavorazione, porta i prodotti della pelatura al premi detriti e infine a centrifughe a dischi per la separazione immediata dell’essenza. L’essenza ottenuta, dopo essere stata sottoposta ad analisi chimica, viene conservata in appositi ramieroni e poi distribuita in fusti saldati ed etichettati. Dalle foglie e dai rami teneri del bergamotto si ottiene per distillazione in corrente di vapore un’essenza chiamata petit grain. Infine a seconda del grado di maturazione raggiunto, si ricavano: il nero di bergamotto, l’essenza di bergamottella e il distillato di bergamottella, dai fiori per distillazione, si produce una pregiatissima essenza chiamata Neroli.

IL CONSORZIO DEL BERGAMOTTO.
agrumi calabriaLa crisi di commercializzazione dell’essenza del bergamotto nei primi decenni del secolo, dovuta alla congiuntura internazionale, ma soprattutto all’insidia della produzione di essenza sintetica immessa sui mercati internazionali, determinò l’abbattimento di intere proprietà coltivate a bergamotto. I produttori fino a quel momento sostenitori della libera iniziativa, sganciata da ogni forma di regolamentazione del mercato dell’essenza, divennero in seguito sostenitori di interventi legislativi volti al controllo della produzione, alla difesa del mercato e della qualità dell’essenza. Risale al 1930 la legge istitutiva del Magazzino generale per il deposito dell’essenza di bergamotto, che sanciva l’obbligo di accompagnare l’essenza destinata alla esportazione con un certificato di analisi che ne garantisse la purezza, rilasciato dalla regia Stazione sperimentale di Reggio Calabria. Nel 1931 nasce il Consorzio di produttori di bergamotto, finché con D.M. del 29/5/1946 vede la luce il Consorzio del bergamotto con sede a Reggio Calabria, regolato oggi dalla Legge regionale n. 7 del 5/2/1977 che ha tra gli scopi principali quello di:
• Gestire l’ammasso dell’essenza
• Elaborare piani di sviluppo delle aziende produttrici
• Varare iniziative tecnico-scientifiche per il miglioramento delle coltivazione
• Promuovere l’associazionismo fra i produttori e la ricerca per il miglioramento dei processi tecnologici di lavorazione del bergamotto
• Curare la collocazione del prodotto sul mercato, garantendo ai consumatori nazionali e stranieri la genuinità del prodotto.


 
 
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Oliva_TaggiascaL'Oliva taggiasca è una cultivar di olivo tipica della Riviera ligure.
È così chiamata perché arrivò a Taggia, qui portata dai monaci di San Colombano provenienti dall'isola monastero di Lerino. Gli innesti di oliva taggiasca furono nei secoli diffusi in tutta Italia, sebbene la coltivazione maggiore sia sempre rimasta nella provincia di Imperia, e oggi risulta essere una delle più rinomate olive per produzione di olio extravergine e una delle migliori olive da mensa, poiché il frutto, nonostante le ridotte dimensioni, è molto gustoso.

Il frutto, di forma ovoidale, produce un olio di colore giallo (giallo-verde nel savonese), dall'odore di fruttato maturo e sapore anche fruttato con sensazione decisa di dolce (acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso, non superiore a 0,5 grammi per 100 grammi di olio). Dal gennaio 1997 è stato istituita, per questa coltura, la denominazione di origine protetta legata a un olio extravergine di oliva detto "Riviera Ligure DOP".

taggiamapSi utilizza in gastronomia in molti dei piatti liguri a base sia di carne sia di pesce, in particolare gli umidi. Tra questi i più conosciuti sono: coniglio in umido alla ligure (o alla sanremese), agnello alle olive, roast-beef alla salsa di olive, baccalà alla levantina, cappunadda, olive in salamoia.

Per raccogliere le olive della varietà taggiasca attualmente vengono stese sotto le piante ampie stuoie di rete a maglia fitta; le stuoie vengono posizionate in periodi antecedenti la vera e propria raccolta al fine di consentire il recupero dei frutti che cadono anzitempo in modo naturale. Il periodo della raccolta sarà poi caratterizzato da manovalanze che, attrezzate con lunghi bastoni, scuotono fisicamente i rami degli ulivi al fine di far cadere più frutti possibile nelle stuoie sottostanti. Oggi si sta rapidamente diffondendo il metodo più veloce e meno faticoso della raccolta meccanica per mezzo di bastoni elettrici o a motore a due tempi.

Il metodo tradizionale di raccolta praticato nell'imperiese, tuttavia, prevedeva che le olive venissero sbattute e fatte cadere dall'albero e poi raccolte una a una manualmente. Il compito della sbattitura spettava tradizionalmente agli uomini, mentre quello della raccolta a terra alle donne. Oggi i ruoli non sono più distinti.

Le olive taggiasche sono caratterizzate da un sapore e un aroma molto piacevole e delicato, tanto da essere indicate per la preparazione di numerosi condimenti, per rallegrare e rendere unici tantissime sfiziose ricette e piatti. 

Prima di tutto queste olive sono ottime per essere utilizzate come antipasto; abbinate a salumi e formaggi, oppure tritate e usate per bruschette e crostini. 

In particolare, per preparare un patè di olive come si deve, potrete aggiungere anche un po' di olio e di parmigiano grattugiato. 

Per quanto riguarda i primi piatti, le olive taggiasche possono essere tagliate a rondelle e unite a del semplice sugo di pomodoro, oppure con l'aggiunta di tonno o pesce in genere, a seconda delle vostre preferenze.









Per i secondi, questa varietà di olive viene usata per la preparazione del condimento sia per la carne, sia per il pesce, in bianco o con sugo di pomodoro o con pomodoro a pezzetti; ideale anche da aggiungere al sughetto della zuppa di pesce.









Una ricetta molto invitante è il polipo con patate e olive taggiasche, un piatto decisamente leggero e gustoso.
Inoltre, le olive taggiasche sono un ottimo ingrediente per le ricche insalate estive, di solito imbastite con insalata, pomodorini, formaggio, mais e altri ingredienti a piacere.
Olivi_in_Liguria
olive_perfette_a_tutte_le_ore
Olive_oil_from_Oneglia
olive taggiasche1
olive taggiasche
 
 
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sempreverdi5Si chiamano piante sempreverdi tutte quelle che, contrariamente alle caducifoglie, non lasciano cadere le foglie durante la stagione avversa.

Sono normalmente legnose (alberi, arbusti, cespugli); la caduta fogliare ed il conseguente rinnovo, avvengono gradualmente, di norma durante la formazione delle gemme.

Le foglie possono persistere funzionali sulla pianta per più anni.
Sono comuni, spesso prevalenti, nei climi tropicali umidi oppure nei climi freddi, dove, per motivi opposti, la persistenza delle foglie non mette in pericolo la sopravvivenza della pianta.

Le conifere popolano generalmente i climi freddi. Tra queste l'unica aghifoglia a rimanere senza foglie durante l'inverno è il larice.

Alcune specie hanno comportamenti diversi a seconda se vivono in ambienti caldi o freddi (ad es. alcuni rovi, il lillà).

Molte specie latifoglie, ossia a lamina ampia (contr. aghifoglie) sono sempreverdi come l'olivo presente in gran parte della nostra penisola, la sughera, il leccio, il mirto, l'alloro, il corbezzolo, ecc. tutte specie tipiche della macchia mediterranea.
sempreverdi_Fichtennadel
Raspberries_(Rubus_Idaeus)
Lilac_(2)
Larix_decidua_Embrun2
Olea_europaea_subsp_europaeaOliveTree
Quercus_suber_algarve
Quercus_ilex_Madonie
 
 
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pioppo neroIl pioppo appartiene al genere di piante arboree della famiglia Salicaceae che comprende una trentina di specie comunemente note come pioppi, originarie perlopiù dell'emisfero settentrionale.

L'altezza dei pioppi va dai 15 ai 20 metri d'altezza, con fusti che possono superare i 2,5 metri di diametro.

La corteccia degli individui giovani è liscia, con colorazioni che vanno dal bianco al verdastro al grigio scuro, spesso ricco di lenticelle; sugli esemplari più vecchi, diviene generalmente rugosa e profondamente fessurata.

I germogli sono robusti e sono presenti le gemme apicali (contrariamente ai "cugini" salici). Le foglie sono disposte a spirale e la loro forma varia da triangolare a circolare o, più raramente, lobata, con lunghi piccioli.

pioppo

Nelle specie comprese nelle sezioni Populus e Aegiros i piccioli sono appiattiti, sicché il vento può facilmente muovere le foglie dando l'impressione che l'albero "tremi". Le dimensioni delle foglie variano facilmente da individuo ad individuo e spesso cambiano colore in autunno diventando gialle o oro.

Si tratta di piante solitamente dioiche, anche se alcune specie sono monoiche; le piante femminili e maschili sono facilmente distinguibili: le prime hanno rami grandi, chiome voluminose e grosse gemme, mentre le altre sono più slanciate ed hanno gemme più piccole ma più numerose; queste notevole diversità ha fatto sì che in passato i sessi venissero erroneamente classificati come due specie diverse.

pioppo1

L'età riproduttiva comincia a 10-15 anni. I fiori compaiono all'inizio della primavera e prima delle foglie e sono raccolte in infiorescenze ad amento allungati, pendenti, sessili o peduncolate. Quelli maschili sono più corti e tozzi e compaiono prima di quelli femminili che hanno spighe più lunghe e più pendenti. I frutti sono costituiti da capsule, verdi o bruno-rossicci, e maturano a metà estate. Contengono numerosi piccoli semi marroncini che poi vengono dispersi dal vento tramite un pappo (da cui il nome anglosassone di cottontree "albero del cotone").

I pioppi della sezione Aegiros sono diffusi negli ambienti umidi e nelle zone ripariali. Quelli della sezione Populus sono probabilmente le latifoglie più diffuse nell'emisfero boreale.

pioppo-tremulo

Specie.

Il genere Populus viene suddiviso in cinque sezioni, ciascuna comprendendente un certo numero di specie:

    Aegiros[4] - pioppi neri (Nord America, Europa Medio Oriente);
        Populus deltoides – pioppo deltoide (Nord America orientale);
        Populus fremontii – pioppo di Freemont (Nord America occidentale);
        Populus nigra – pioppo nero (Europa);
            Populus × canadensis (P. nigra × P. deltoides) - pioppo nero ibrido.

    Populus – pioppi bianchi e pioppi tremuli (climi subartici e temperati freddi e, più a sud, ad elevate altitudini):
        Populus tremula – pioppo tremulo europeo (Europa, Asia settentrionale);
        Populus adenopoda - (Estremo Oriente);
        Populus alba – pioppo bianco (dall'Europa all'Asia centrale);
            Populus × canescens (P. alba × P. tremula) - pioppo grigio;
        Populus grandidentata - (Nord America orientale);
        Populus sieboldii - (Estremo Oriente);
        Populus tremuloides - (Nord America).

populus-tremula

    Tacamahaca – pioppi balsamici (climi temperati freddi di Nord America e Asia):
        Populus angustifolia - (America centro-settentrionale);
        Populus balsamifera – pioppo balsamico (Nord America settentrionale);
        Populus laurifolia - (Asia centrale);
        Populus maximowiczii - (Asia settentrionale);
        Populus simonii - (Asia nord-orientale);
        Populus szechuanica (Asia nord-orientale);
        Populus trichocarpa - (Nord America occidentale);
        Populus tristis - (Asia settentrionale).

    Leucoides - (climi temperati caldi di Nord America orientale e Asia orientale):
        Populus heterophylla - (Nord America sud-orientale);
        Populus lasiocarpa - (Asia orientale);
        Populus wilsonii - (Asia orientale).

    Turanga – pioppi subtropicali (climi subtropicali e tropicali di Asia sudoccidentale e Africa orientale):
        Populus euphratica - (Asia sudoccidentale)
        Populus ilicifolia - (Africa orientale)

    Abaso – pioppi messicani (climi subtropicali e tropicali del Messico)
    Populus guzmanantlensis - (Messico)
        Populus mexicana - (Mexico).

In Italia crescono spontaneamente solo le specie delle Leuce (di cui fanno parte i pioppi bianchi e i pioppi tremoli) e delle Aigeiros (che comprendono pioppi neri).

pioppo2

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Myrtus_communisIl mirto  è una pianta arbustiva della famiglia delle Myrtaceae, tipica della macchia mediterranea.

Ha portamento arbustivo o di piccolo alberello, alto da 50 a 300 cm, molto serrato.

La corteccia è rossiccia nei rami giovani, col tempo assume un colore grigiastro.


Ha foglie opposte, persistenti, ovali-acute, coriacee, glabre e lucide, di colore verde-scuro superiormente, a margine intero, con molti punti traslucidi in corrispondenza delle glandole aromatiche.

I fiori sono solitari e ascellari, profumati, lungamente peduncolati, di colore bianco o roseo. Hanno simmetria raggiata, con calice gamosepalo persistente e corolla dialipetala. L'androceo è composto da numerosi stami ben evidenti per i lunghi filamenti.

L'ovario è infero, suddiviso in 2-3 logge, terminante con uno stilo semplice, confuso fra gli stami e un piccolo stimma.

Myrtus_communis3

La fioritura, abbondante, ha luogo nella tarda primavera e all'inizio dell'estate, da maggio a luglio. Un evento piuttosto frequente è la seconda fioritura che si può verificare in tarda estate, da agosto a settembre e, con autunni caldi, in ottobre. Il fenomeno è dovuto principalmente a fattori genetici.

I frutti sono bacche globoso-ovoidali di colore nero-azzurrastro, rosso-scuro o più raramente biancastre, con numerosi semi reniformi. Maturano da novembre a gennaio persistendo per un lungo periodo sulla pianta.

Ne esistono numerose varietà coltivate a scopo ornamentale come il Myrtus communis var. variegata alta fino a 4,50 m, con foglie dalle eleganti striature colorate di bianco-crema e fiori profumatissimi.

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Distribuzione.

È una specie spontanea delle regioni mediterranee, comune nella macchia mediterranea. In Sardegna e in Corsica è un comunissimo arbusto della macchia mediterranea bassa, tipica delle associazioni fitoclimatiche xerofile dell'Oleo-ceratonion. Meno frequente è invece la presenza del mirto nella macchia alta.
Esigenze e adattamento

Il mirto è una pianta rustica, si adatta abbastanza ai terreni poveri e siccitosi ma trae vantaggio sia dagli apporti idrici estivi sia dalla disponibilità d'azoto manifestando in condizioni favorevoli uno spiccato rigoglio vegetativo e un'abbondante produzione di fiori e frutti. Vegeta preferibilmente nei suoli a reazione acida o neutra, in particolare quelli a matrice granitica, mentre soffre i terreni a matrice calcarea.

Myrtus_communis1

L'interesse economico che sta riscuotendo questa specie in Sardegna ha dato il via negli anni novanta ad un'attività di miglioramento genetico da parte del Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei dell'Università di Sassari, che ha selezionato oltre 40 varietà fino al 2005.

Lo scopo principale del miglioramento genetico è la produzione di bacche da destinare alla produzione del liquore di mirto, tuttavia è in corso anche un'attività di screening finalizzata alla produzione dell'olio essenziale.

Fra le caratteristiche morfologiche, fenologiche e produttive valutate ai fini del miglioramento genetico rientrano la forma e la pezzatura delle bacche, la dimensione dei semi, la vigoria della pianta, la pigmentazione dell'epicarpo, carattere fondamentale per produzione del liquore, la produttività, la percentuale di radicazione (carattere fondamentale per la moltiplicazione per talea) e, infine, la predisposizione alla rifiorenza, carattere ritenuto negativo ai fini della produzione delle bacche.

Myrtus_communis3

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