Grazie alle recenti leggi comunitarie sulla denominazione d'origine,tra i legumi con il "marchio" c'è anche questa specialità, coltivata nell'entroterra ligure da oltre tre secoli.

• Famosi per il loro gusto morbido e delicato, questi fagioli hanno buccia sottile, il che consente una cottura rapida(20minuti),senza aggiunte nell'acqua per intenerirli.

• Secondo la tradizione pignasca, accompagnano solitamente piatti di carne (famosa è la capra con i fagioli), ma il loro gusto li rende ideali anche peraffiancare preparazioni di pesce.

Nonostante la presenza do­minante del mare, la Ligu­ria è una delle poche regio­ni italiane che non utilizza la pesca come principale fonte di cibo. La sua gastro­nomia è ricca di prepara­zioni contadine, a base di cereali e ortaggi, condite con l'olio della Riviera e ricche di aromi.

La fascia montuosa che le fa da coro­na presenta un panorama agricolo tra i più vari. Ba­stano pochi chilometri per passare dalle colture medi­terranee della costa (olivo e vite), ai pascoli appenninici dell'entroterra. Nei pochi scampoli pianeggianti (le famose "terrazze liguri"), si coltiva di tutto, anche pro­dotti poco aristocratici, co­me i legumi, che riescono ad acquisire virtù gastronomiche tali da essere anno­verati tra i prodotti tipici regionali da proteggere e diffondere.

E' il caso del fa­giolo coltivato a Pigna, pae­se dell'entroterra d'Imperia, dove questo legume è di casa da oltre 300 anni. I suoi abitanti lo conobbero all'i­nizio del '600, grazie all'in­tensa attività commerciale delle città costiere della Ri­viera, dove approdavano le navi spagnole cariche di ci­bi del Nuovo Mondo. Lun­go la strada che portava verso il Regno Sabaudo, il phaseolus passò per Pigna e la sua piccola frazione di Buggio, luogo ideale per metter le radici.

Un terreno pedemontano ricco di sedi­menti, e un'acqua di sor­gente densa di sali minerali danno sapore a questo le­gume. Il fagiolo di Pigna è chiamato anche "fagiolo bianco" per il colore bian­co-lucido della buccia esterna; il suo aspetto, tipica­mente reniforme e tondeg­giante, ricorda quello del più famoso Borlotto, ma le dimensioni sono più ridot­te.


I semi si piantano nel terreno nei primi giorni di luglio, sfruttando le condizioni climatiche estive, che a 626 m sul livello del mare, non raggiungono mai temperature troppo elevate. La caratteristica principale sta nella sua buccia esterna, molto fine, che dipende dal tipo di terreno di coltura e dall'acqua d'irrigazione che, insieme a una sapiente selezione botanica, consen­tono di limitare la concen-trazione di cellulosa ed e-micellulosa nella parte su­perficiale.

Quando avviene la raccolta dei baccelli, la cuticola di copertura non si è ancora ispessita e i semi sono molto morbidi, specie in cottura. Una pellicina poco spessa assorbe inoltre più facilmente l'acqua di eottura e, con essa, gli aromi che vi sono aggiunti (seda­no, carote, pomodoro). Se si preferisce, invece, destinare i fagioli all'essiccamento, è necessario prolungarne la maturazione sulla pianta. Così il tegumento esterno diventa più ricco di cellulo­sa ed è in grado di resistere agli sbalzi d'umidità e agli attacchi dei parassiti duran­te la conservazione inver­nale.

I fagioli freschi si pos­sono tenere nel congelatore per mesi; le granelle secche resistono anche anni in re­cipienti di vetro riposti in locali ben asciutti. I semi freschi cuociono in 20-30 minuti in acqua bollente, senza aggiunte di sale o bi­carbonato. Al contrario, bi­sogna porre una certa at­tenzione a non lasciarli bol­lire troppo: il rischio è di spappolare tutti i semi.

Ol­tre che nella zona di colti­vazione, i fagioli di Pigna si trovano in molti ristoranti e drogherie della Riviera e presto, grazie alla denomi­nazione di origine protetta richiesta alla Cee, anche fuori dei confini regionali.

Aspetti gastronomici della tradizione locale.


La gastronomia ligure è ricca di preparazioni a base di cereali ed ortaggi, pertanto grazie alla riscoperta di antiche tradizioni enogastronomiche locali, la coltivazione del "Fagiolo Bianco di Pigna" ha preso sempre più piede.

Tale legume lo possiamo trovare in svariati piatti tipici della zona abbinato a carne, pesce oppure gustato semplicemente con l'ottimo olio extravergine di oliva di produzione locale.

L'abbinamento gastronomico tradizionale, fagiolo bianco con la capra, è stato dettato dalla necessità da parte della popolazione pignasca ad allevare le capre che costituivano una delle poche risorse alimentari degli anni passati.

Date le caratteristiche organolettiche, il "Fagiolo Bianco di Pigna" si può definire una pietanza semplice, da gustare e condividere durante una cena o un pranzo offrendo all'organismo piacere e nutrimento.

Il suo aspetto rosato, tendente al beige, ha una forma singolare molto tondeggiante;di dimensione medio piccola, pelle molto sottile, tenera e trasparente. La pasta è compatta ma morbida. Poco sapido, ha gusto delicato con note di castagne e noci fresche.

Il territorio - Inquadramento geografico.


Il territorio nel quale viene coltivato il "Fagiolo Bianco di Pigna" si configura in un'area collocata esclusivamente nell'alta Val Nervia compresa nei comuni di Pigna Castelvittorio e in minima parte in quello di Isolabona.

Il territorio è attraversato dal torrente Nervia e da moltissimi altri rii che trasportano acqua di natura calcarea che, assieme a terreni particolarmente drenati, caratterizza il gusto e le caratteristiche organolettiche del fagiolo.

Le aree coltivate sono collocate nelle zone denominate in dialetto all'Abrigu (cioè all'aprico) esposte al sole, dove le colline hanno una conformazione dolce con leggeri pendii adatti per poter essere coltivati.

Pare che i territori dove viene attualmente coltivato il fagiolo fossero, probabilmente, messi in coltura fin dall'epoca romana: lo fanno presupporre i nomi dove attualmente vengono coltivati i fagioli in modo particolare nel Comune di Pigna (Ouri).

L'areale di produzione del "Fagiolo Bianco di Pigna" è compreso in una fascia altitudinale compresa tra i 300 e gli 800 metri slm, ai piedi dei monti delle Alpi Marittime (Monte Toraggio e Pietravecchia), in piccoli appezzamenti molto spesso di difficile accesso ai normali mezzi meccanici; in genere in prossimità di piccoli rii per facilitare le operazioni di irrigazione che viene praticata sia nella forma tradizionale a scorrimento naturale con l'ausilio di piccoli canali (beai), sia per aspersione adottando le moderne tecniche di irrigazione.

La produzione annuale del "Fagiolo Bianco di Pigna" si aggira mediamente sui 40-45 quintali.

Inquadramento socio-economico.


Il territorio dove viene coltivato il "Fagiolo Bianco di Pigna" è collocato tra il crocevia di sviluppo degli scambi commerciali tra il mare e la montagna: la cosiddetta "Via del Sale". Strada percorsa fin dai tempi antichi dai commercianti locali per scambiare i prodotti delle nostre terre con quelle del Piemonte e della Francia.

Gli abitanti, come quelli dei tipici borghi medievali dei paesi dell'entroterra, vivevano esclusivamente di agricoltura e di pastorizia. Tale contesto sociale favorì l'espansione delle coltivazioni del fagiolo anche in zone impervie rese coltivabili solo grazie all'opera dell'uomo con la creazione dei tipici terrazzamenti (fascie).

Dopo un totale abbandono delle campagne nelle zone interne, in questi ultimi anni si sta assistendo ad un graduale ritorno verso una agricoltura di tipo tradizionale, collegata alla riscoperta di colture tipiche, in stretta relazione con la salvaguardia delle tradizioni enogastronomiche e della cultura locale.

Alcune ricette con i fagioli:

Ricerca personalizzata

Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:

Profumato, dolce e acidulo nello stesso tempo, esiste da sempre, ma, negli ultimi anni, è diventato di moda. Immancabile in bar e ristoranti, viene consumato anche a casa, fresco di frigo.

Un pranzo importante, in Italia si conclude spesso con un liquore. E un punto fermo, quasi irrinunciabile. Soprattutto al ristorante, con il caffè si chiede l'ama­ro o, almeno, si chiedeva.

Questo genere di consuma­zione, infatti, ha subito una una flessione a vantaggio di un liquore che è sempre e-sistito, ma che negli ultimi anni è diventato di moda.

Si tratta del limoncello (li­quore di limone) che si col­lega alla cultura del rosolio mediterraneo e, più in ge­nerale, a quella dei liquori fatti in casa.

Pur acquistan­dolo al supermercato, infat­ti, ripropone sapori familia­ri, perché ha il gusto e Fa-roma propri della liquore­ria domestica. Piace anche per il colore giallo paglieri­no con riflessi citrini; inol­tre, ha un gradevole profu­mo d'agrume, mentre il sa­pore dolce è equilibrato dalla fresca acidità del li­mone. Servito fresco o fred­do, è particolarmente "be­verino", morbido, rotondo e. al contrario dei secchi di­stillati, possiede una più contenuta alcolicità che, ge­neralmente, non supera la soglia dei 36 gradi. Da qualche anno si è imposto sul mercato ed è diventato una bevanda di moda.

Il limoncello è nato lungo la costiera amalfitana, nella penisola sorrentina, oltre che in alcune zone della Si­cilia e della Sardegna, cioè nel cuore del Mediterraneo. La produzione è sempre stata artigianale e casalinga. Oggi a produrlo sono anche le affermate case di liquori. Alla base di un buon limon-cello c'è la qualità della materia prima, quindi dei limoni.

Le coltivazzioni di mag­gior pregio trovano le loro zone vocale nella costiera amalfitana e nella penisola sorrentina. Nell'Amalfitano prospera il "limone sfusato di forma allungata e contraddistinto da buccia spessa: nel sorrentino cre­sce il massese o "femminiello", di forma più ton­deggiante. Ad accomunare le due varietà è la buccia partìcolarmente ricca di oli essenziali, i quali comuni­cano profumo e sapore al liquore.

Inollre. dopo un anno dal confezionamento, il prodot­to perde la fragranza frutta­la. Pertanto, occorre verificare la data, se presente, dell'imbottigliamento, e scegliere di conseguenza il prodotto.


La produzione.

La produzione del liquore prevede più fasi. I frutti raccolti sono sottoposti ad accurata pulizia che com­prende innanzitutto il la­vaggio. Successivamente, viene selezionato lo strato colorato delle bucce con esclusione di quello bianco, (ossia dell'albedo). La parte scelta è messa in infusione in alcol buongusto per circa 40 giorni. L'infuso è quindi miscelato con uno sciroppo di acqua zuccherata e la­sciato riposare per 24 ore. L'operazione successiva con­siste nel filtraggio, per eliminare bucce e residui soli­di in genere. il limoncello, quindi, è imbottigliato e commercializzato.

Dove si consuma.

Dai dati di vendita del li­moncello risulta che l'area di maggior consumo è co­stituita dalle regioni nord occidentali; segue l'area nord orientale (comprensi­va dell'Emilia Romagna), quindi, nell'ordine, l'Italia centrale (esclusi Abruzzo e Molise) e, infine, le restanti regioni. Il fatto potrebbe stupire, in quanto nei luo­ghi tradizionali di produ­zione corrisponde un minor consumo. Va detto, però, che i dati di vendita non comprendono le produzioni domestiche, né quelle dei ristoratori i quali, spesso, preferiscono prepararlo in proprio. E il caso, per esempio. del rinomato 3 stel­le "Don Alfonso 1890".

Denominazione.

Liquore di limone.


Analisi organolettica.

Colore giallo paglierino con riflessi citrini; profumo ricco, con note marcate d'agrume; sapore immediato, gusto ine­quivocabile di limone, dotato di dolcezza che armonizza con la componente agra pro­pria del limone. Servito fre­sco o freddo, è scorrevole, morbido, rotondo, anche grazie alla contenuta alcoli­cità che in genere non supera la soglia dei 36 gradi.

Temperatura di servizio 4-5 °C.

Abbinamenti.

Da gustare a fine pranzo op­pure da aggiungere a sorbetti, gelati e macedonie.
nel suo locale di S. Agata sui Due Golfi (Napoli), pro­pone a fine pasto un ottimo Limoncello della casa.


La Produzione del Limoncello.


Da un’ antica ricetta tramandata da generazioni è stato ricavato questo LIMONCELLO, per la cui realizzazione sono stati impiegati limoni freschi e indenni da attacchi parassitari e da tracce di fitofarmaci.

FASE 1: COLTIVAZIONE E RACCOLTA DEI LIMONI.
I nostri limoni vengono coltivati nella “ZONA CEMENTARA” della Riviera Domitia, particolarmente adatta ,per il suo terreno di origine vulcanica costituito prevalentemente da tufo. Tutti i passaggi di cui consta la coltivazione di tali agrumi, vengono dalla nostra azienda rigorosamente seguiti e controllati. Per favorire la produzione di questi ultimi, utilizziamo tecniche particolari come l'interruzione delle irrigazioni per un certo periodo. In questo modo riusciamo ad ottenere frutti dalla buccia sottile e dalla polpa molto succosa. Quando essi sono giunti a piena maturazione, si dà inizio alla raccolta, la quale si effettua manualmente, e si fonda su una scrupolosa cernita volta alla selezione degli elementi migliori.

FASE 2: PELATURA DEI LIMONI.
Una volta raccolti, i limoni sono sottoposti a scrupoloso lavaggio, momento preliminare alla fondamentale fase di pelatura degli stessi. Essa viene svolta tramite l’ ausilio di un imponente macchinario, il quale permette di ottenere bucce incredibilmente sottili, basilare presupposto per l’ottenimento di una bevanda purissima ed estremamente naturale.

FASE 3: INFUSIONE.
Utilizzando contenitori in acciaio inox, le bucce ottenute durante la precedente fase vengono sottoposte ad immersione in alcool purissimo, che si protrarrà per alcuni giorni. Al termine di questi, le bucce vengono estratte dai contenitori, sul cui fondo rimane il prezioso infuso di limoni.

FASE 4: PREPARAZIONE.
Immediatamente si provvede ad estrarre l’ infuso dai contenitori, e da filtrarlo; l’infusione così ottenuta, dopo essere stata sottoposta a rigorosi controlli, viene immessa in un serbatoio la cui temperatura deve permanere inferiore ai 10°C,al fine di favorire il separarsidegli oli essenziali e delle cere che, se in eccesso, possono risultare dannosi; in seguito, si opera effettuando un ulteriore filtro dell’ infusione, nonché una sua distillazione,per verificarne l’ esatto grado alcoolico.

FASE 5: IMBOTTIGLIAMENTO.
A questo punto il processo subisce alcune diramazioni, a seconda del tipo di prodotto che si intende ottenere:

L’ infuso destinato alla produzione di Limoncello, viene miscelato con acqua distillata unita a zucchero raffinato;
L’ infuso destinato alla produzione di Crema al Limoncello, è unito ad una squisita crema di latte e panna;

L’ infuso destinato alla produzione dei deliziosi e inimitabili dolci della tradizione campana, i famosi Babà al Limoncello, viene utilizzato per imbevere questi dolci allo scopo di conferire loro l’ inconfondibile, celebre sapore.

Ricerca personalizzata




Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:

II peperone (Capsicum annuirti è un ortaggio proveniente dall'America del Sud. Comparso sulle tavole europee nel XVI secolo, oggi la sua coltivazione è molto diffusa in molti Paesi e in Italia.

Tra i peperoni più pregiati ricordiamo quelli dì Carmagnola, prodotto agroalimentare tradizionale e presidio slow food (da oggi, fino al 7 settembre, il paese ospita la tradizionale sagra).

Dì colore rosso o giallo, talvolta sfumato di verde, gusto dolce e pronunciato, i peperoni dì Carmagnola (Torino) si dividono in quattro tipologie a seconda della forma: il quadrato, il corno di bue, la trottola e il tumatìcot.

Di colore verde o rosso porpora è invece il Peperone di Senise, Igp, che presenta tre tipologie tutte di piccole dimensioni: appuntito, a tronco e a uncino. Secondo la tradizione tuttavia si prepara «crusco», cioè fritto croccante con un po' dì sale, ed è ottimo per accompagnare formaggi e verdure.

Della pianta del peperone consumiamo il frutto, una bacca cava e carnosa inizialmente verde, ma che a completa maturazione dei semi assume una colorazione gialla o rossa; nella polpa, nei semi tondi e schiacciati, ma anche nella placenta (la parte bianca all’interno) del frutto si trova la "capsicina", un alcaloide che conferisce il caratteristico sapore piccante a questo ortaggio. La presenza di capsicina, molto elevata nei cosiddetti peperoncini piccanti, si misura con la scala Scoville:

Nel peperone dolce, che si consuma fresco, ci sono da 0 a 500 unità Scoville di capsicina, mentre nella varietà Habanero, il peperoncino più piccante al mondo, si raggiungono le 300.000 unità.
Il peperone è una pianta che produce tantissime varietà di frutti con caratteristiche molto diverse tra loro, ma in linea di massima, si può distinguere tra peperoni piccanti (o peperoncini) e peperoni dolci, tra peperoni costoluti da tavola, dai frutti quadrati o rettangolari, oppure tra quelli dai frutti appuntiti o dalle forme coniche allungate o molto schiacciate come nei peperoni pomodoro.

Se il peperone sarà destinato alla trasformazione in sottaceti, verrà raccolto quando sarà acerbo, cioè verde, invece per il consumo fresco o l'inscatolamento, il frutto verrà staccato all'inizio della sua colorazione gialla o rossa, mentre a maturità completa si raccolgono solo prodotti da essiccamento.

Il peperone ha fatto la sua comparsa sulle tavole europee quando venne importato in Spagna verso la metà del 1500; poi arrivò in Italia, e solo nel 1700 in Ungheria, una delle principali produttrici di paprika, spezia ottenuta da particolari varietà di peperoni, che vengono fatti essiccare, ridotti in polvere e mescolati con farina di frumento.

Il nome latino "capsicum" deriva da capsa= scatola, per la particolare forma del frutto che ricorda proprio una scatola con dentro i semi.



Coltivazione, varietà, raccolta.

Le moltissime specie di peperone, sono largamente coltivate e diffuse in tutto il mondo (circa 1,26 milioni di ettari), in aree come l' America centro-meridionale, Asia, Africa ed Europa; in Italia invece la coltivazione di questa pianta si sta lentamente riducendo tanto che ultimamente si tende più ad importare che ad esportare, con flussi di prodotti provenienti prevalentemente da Spagna ed Olanda; le regioni italiane maggiormente interessate dalla coltura sono la Sicilia, la Puglia, la Campania e il Lazio.

Le varietà più diffuse per la consumazione fresca dell’ortaggio sono divise in:

PEPERONI DOLCI

TIPO QUADRATO (Capsicum annum varietà grossum)

• “Giallo o Rosso quadrato dolce di Nocera”,
• “Giallo o Rosso quadrato d’Asti”: ha frutto carnoso grosso a quattro lobi con costolature lungo i fianchi, di colore rosso e giallo brillante a maturazione completa, con polpa dolce di spessore medio grosso.
• “Braidese Rosso o Giallo”: di Cuneo, ha quattro lobi ed ha forma tendente al quadrato, piuttosto irregolare. I frutti hanno elevate qualità organolettiche esaltate nella fase di cottura:la piccantezza è molto rara.
• “California Wonder”: ha frutto quadrato con polpa spessa e dolce, e viene coltivato a pieno campo.
• “Yolo Wonder” : ha frutto carnoso quadrilobato, lucido, verde scuro con forma tendente al quadrato, a maturazione possono apparire riflessi rossi. La sua polpa spessa lo rende molto resistente, quindi è largamente esportato.
• “Topepo” o “Peperone pomodoro”: ha frutto leggermente appiattito, e costoluto come un pomodoro, ed è molto ricercato all’estero. A maturazione, ha colore rosso con buccia liscia lievemente solcata, di colore verde intenso che vira al rosso vivo a maturazione completa e polpa spessa e dolce. I frutti sono apprezzati sia per il consumo fresco che per la conservazione sotto aceto.

TIPO ALLUNGATO (Capsicum annum varietà longum)

• “Corno di toro”: ha frutti spessi e voluminosi a forma di corno, che possono raggiungere i 22 cm di lunghezza e i 4 cm di larghezza. Maturando passano dal verde al rosso brillante o giallo, e avendo un sapore eccellente, sono ottimi per il consumo fresco (varietà ideale per i peperoni ripieni) e per l’industria.
• “Lungo Marconi”: ha frutti molto lunghi (20-22 cm, e larghi alla base 6 cm) di color verde e rossi, con tre lobi piccoli e una polpa molto spessa; sono dolci e di ottimo peso.
• “Lungo di Chiasso”: ha un frutto allungato largamente diffuso nel Piemonte. • “Proboscide d’elefante”: ha frutto allungato, che termina con una caratteristica punta ricurva.
• “Toro di Spagna”: è una pianta nana, che ha frutti penduli conici e allungati con ottima polpa.
• "Peperone di Senise Igp", che vengono coltivati nelle valli del Sinni, in Basilicata, di colore rosso, forma allungata e spessore sottile, hanno la particolarità di avere il picciolo molto adeso alla bacca poichè contengono poca acqua; quando vengono essiccati si formano delle collane per tenerli legati infilandoli dal loro saldo picciolo.
• “Verticus”: ha frutti eretti conici e rossi con ottima polpa.

Tipo allungato (Capsicum annum varietà acuminatum)


Dolci.

• “Peperoncino sottile, lungo, dolce" : adatto per sottaceti.
• “Sigaretta di Bergamo”, ha frutti conico-allungati, con polpa fine dal colore verde/rosso.
• “Lungo di Nocera”: ha frutti pendenti nella classica forma a cornetti, bacche cilindriche a tre punte di colore verde che a maturazione diventano rosse, chiamati anche friarielli.

Piccanti.

• “Peperoncino sottile e lungo di Cajenna”: ha frutti a portamento pendente dalla forma cilindrica molto allungata, lunghi circa 10 cm. Colore verde che vira al rosso a maturazione completata. Polpa sottile dal sapore forte e piccante: da questo peperoncino si ottiene la paprika.


TIPO TRONCO (Capsicum annum varietà abbreviatum)

• “Nano quarantino d’Asti”: ha frutti piccoli, a trottola, con costolatura spiccata ed apice bitorzoluto, i frutti precoci, ottimi quando sono ancora verdi, sia crudi che fritti, sotto aceto ed in peperonata.
• “Quadrato piccolo del Veneto”: ha un frutto adatto per sottaceti.
• “Piccolo di Firenze”: se non si raccoglie quando è ancora molto tenero, il suo frutto diventa piccante; è molto produttivo e adatto per sottaceti.
• “Pimento”: ha il frutto a forma di trottola e possiede polpa molto spessa (che ben si addice all’industria conserviera).
Le varietà piccanti, si consumano generalmente per condimenti oppure essiccate e macinate.

■ Al momento dell'acquisto
.

Al momento dell’acquisto i peperoni devono avere il picciolo ben attaccato, teso e turgido devono essere lucidi, sodi al tatto, con la pelle ben tesa e privi di ammaccature; in più ricordate: se sono ben maturi risulteranno dolciastri, se immaturi e verdi saranno piuttosto asprigni ma ugualmente apprezzati.
I peperoncini piccanti si conservano in genere sott'olio. Quelli di Cajenna, dai quali si ricava la paprika, si essiccano al sole e poi si macinano.

■ Conservazione
.

I peperoni si possono conservare in frigorifero per 4-5 giorni nel cassetto delle verdure, in alternativa potete conservarli sott’aceto o sott’olio. Se essiccate e macinate dei peperoncini piccanti potete conservarli in vasi di vetro, lontani da luce o fonti di calore.

Uso in cucina.

Il peperone può essere mangiato crudo nelle insalate, in pinzimonio o nella bagna caoda, tipico piatto piemontese a base di acciughe dove vengono intinte verdure ed altro ancora.

Il peperone viene usato in preparazioni come la peperonata, arrostito sulla brace, viene fatto ripieno, fritto con altri ortaggi (ottimi fritti con le patate, e melanzane) o nella caponata.

Nel peperone, le sostanze più indigeste sono contenute nella buccia, quindi, per chi non lo tollera, è meglio arrostire i peperoni sulla griglia ed eliminare totalmente la buccia e consumare la sola polpa condita con olio e sale.

In base alla preparazione, bisognerà optare per una varietà o un’altra di peperone: per una peperonata andranno bene tutte le varietà, se si vorranno arrostire sarà meglio scegliere quelli grossi e carnosi; per friggerli saranno ideali i "friarelli dolci", mentre quelli tondeggianti saranno ideali per essere farciti.

La caratteristica principale del peperone è il suo elevato contenuto di vitamina C, e contiene anche vitamina A; è decisamente poco calorico, poiché è costituito per oltre il 90% da acqua, e il che lo rende adatto alle diete dimagranti.

Le varietà dolci sono generalmente quelle preferite dai consumatori, per la migliore digeribilità e appetibilità.

Le varietà piccanti sono più ricche di vitamine delle altre, tanto che raggiungono valori 300 volte maggiori di ciascuno degli altri ortaggi coltivati, inoltre hanno un tenore medio di acido ascorbico altissimo, e sono sconsigliate a chi soffre di ulcera o iperacidità gastrica e ai bambini; però, per la presenza di carotenoidi (contro i radicali liberi e l’invecchiamento cellulare) e sali minerali, hanno il pregio di stimolare la vitalità dei tessuti e di attivare il circolo venoso e capillare prevenendo le malattie vascolari.


Alcune ricette con i peperoni:


Ricerca personalizzata




Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:

Vitigno siciliano di pregio. Il suo luogo d'origine sembra sia la piana di Mascali (CT) dov'è tutt'ora largamente coltivato.

Il suo nome è dovuto al fatto che da secoli viene coltivato nella zona della Contea di Mascali su dei terreni costituiti, per gran parte, da sabbie vulcaniche.

E' molto diffuso in Sicilia. I suoi grappoli sono grandi, allungati e conici con una o piu' ali, di aspetto compatto.

I suoi acini sono medi, quasi ellissoidali con buccia spessa e consistente di color blu chiaro, ricca di pruina. Ha vigoria notevole e produttività abbondante ma incostante. Matura a fine settembre o inizio ottobre.

Il nerello mascalese, infatti, come altri vitigni nobili (nebbiolo, pinot nero), ha una notevole sensibilità all'annata ed al territorio di provenienza.

Appartiene allo storico gruppo dei vitigni Nigrelli descritti da Sestini (1760) nelle sue memorie sui vini della Contea di Mascali. Allevato tradizionalmente ad alberello, è il vitigno più diffuso nell'areale etneo dove si coltiva da tempo immemorabile. Presumibilmente ha legami con gli antichi vini dell'Etna celebrati da Omero e dagli storici latini.


Caratteristiche del vitigno.


Pianta mediamente vigorosa, presenta una elevata variabilità intravarietale, foglia medio-grande, intera o trilobata, di forma pentagonale o cuneiforme; grappolo medio, spesso alato, più o meno compatto, acini medio-piccoli, sferoidali o ellissoidali corti, buccia spessa e consistente di colore blu-violacea.

Maturazione tardiva.


Caratteristiche del vino: Il vino è elegante e di grande personalità, tendenzialmente tannico, di colore rosso rubino con riflessi granati, l'ottima struttura e il buon corredo aromatico lo rendono adatto all'invecchiamento.

DOC: Etna, Faro, Contea di Sclafani, Marsala, Riesi, Sambuca di Sicilia.


Zone di diffusione.

Province di Catania, Messina, Agrigento e Enna.

Densità d’impianto: circa 9.000 piante per ettaro.

Resa per ettaro: 65 q.li.

Età dei vigneti: 60 anni.

Vinificazione: le uve, vendemmiate dopo la metà di ottobre, vengono vinificate in rosso con lunga macerazione con le bucce.

Maturazione: dopo la malolattica, il vino viene travasato in piccole botti da 225 litri dove rimane oltre un anno.

Affinamento: in bottiglia per 8-10 mesi.


Caratteristiche organolettiche.

- colore: rosso rubino con sfumature granate.
- odore: etereo, di frutta, speziato, con sfumature di tabacco e vaniglia.
- sapore: secco, pieno, tannico, armonico, persistente con aroma
di liquirizia. Persistente al gusto, giustamente tannico.

Gradazione alcolica: 13-14% vol.

Temperatura di servizio: 18-20°C. Servire in calici adatti a vini rossi di corpo.

Abbinamenti Gastronomici.

Si abbina ottimamente con le carni rosse, la selvaggina e i formaggi stagionati.

Ricerca personalizzata





Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:

La camomilla comune (Matricaria chamomilla L., sin. Chamomilla recutita (L.) Rauschert, fam. Compositae).

Non è ricordata né dagli autori antichi e neppure dai medievali; nel 1500 fu segnalata a Londra come erba infestante:

Originaria del sud-est asiatico, la camomilla si è diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, in Europa e nel Sud America.

E’ una pianta erbacea annuale, con fusto alto fino a 50 cm nelle piante spontanee e fino a 80 cm in quelle coltivate; i fiori sono riuniti in capolini. Cresce dal mare fino alla regione submontana (fino a circa 800 m), è comune nei prati, nei campi coltivati, lungo le strade e vicino alle case. La fioritura avviene da maggio ad agosto.

Il fabbisogno nazionale di camomilla è stato stimato attorno a 1000 T/anno e viene in larga misura soddisfatto con l’importazione di capolini dall’estero (alcuni Paesi dell’Est europeo, Egitto e Argentina). Nonostante negli ultimi anni la superficie investita a camomilla nel nostro Paese sia molto accresciuta (200 ettari circa) grazie alla preferenza che i consumatori accordano al prodotto italiano, sentito come "più sicuro", la produzione italiana dovrebbe aggirarsi soltanto attorno alle 130 T, utilizzate prevalentemente per la produzione di capolini essiccati. pelle.

I capolini si recidono all’inizio della fioritura, in maggio- giugno, staccandoli dalla pianta con le unghie o con gli appositi pettini (non raccogliere i fiori in avanzato stato di maturazione poiché tendono, con l’essiccamento, a staccarsi dal capolino). I capolini si essiccano disponendoli in strati sottili in luogo aerato e all’ombra (maneggiare il prodotto con cura per evitarne il disfacimento); si conservano in recipienti di vetro al riparo dalla luce.

Il prodotto più importante della camomilla è l'essenza (olio di camomilla), i cui componenti fondamentali sono l'azulene (antinfiammatorio) e l’a-bisabololo (calmante); la pianta contiene anche flavonoidi e cumarine, oltre ad un principio amaro tonificante.

I fiori secchi di camomilla sono impiegati nella preparazione di infusi (azione antispasmodica, antisettica, ecc.); l’olio essenziale, grazie alle sue proprietà anti-infiammatorie, è utilizzato dalle industrie farmaceutiche e cosmetiche per la preparazione di colliri e prodotti per la protezione della




NOME BOTANICO:Camomilla

FAMIGLIA:Asteracee

BREVE DESCRIZIONE:Pianta erbacea annuale puo' raggiungere un' altezza di 50-80 cm

DURATA:Annuale

PERIODO DI FIORITURA:Fiorisce da maggio a settembre

AREA DI ORIGINE:Europa, Asia e America settentrionale

CLIMA:Temperato

USO:Viene coltivata in piena terra o in vaso

ESPOSIZIONE E LUMINOSITA':Deve essere esposta in pieno sole

TEMPERATURA:Vive bene con temperature abbastanza calde

SUBSTRATO: Si adatta bene a tutti i terreni

IRRIGAZIONE:Deve essere annaffiata abbondantemente in estate

CONCIMAZIONE:Utilizzare concime ternario composto

PROPAGAZIONE:Avviene per seme

AVVERSITA':Non è soggetta a malattie o parassiti particolari



Proprietà della camomilla.

La camomilla esercita blandi effetti, comunque interessanti:
  1. calmante e antispasmodico: è molto utile per sedare gli spasmi dello stomaco e dell'intestino dovuti a nervosismo e ansia; è utile anche nella cura di ogni tipo di coliche, specialmente quelle renali e biliari (definite erroneamente epatiche), per il suo effetto notevolmente calmante e rilassante.
  2. tonico intestinale: per quanto possa sembrare paradossale, la camomilla stimola la motilità del tubo digerente, e per questo si consiglia a chi è stato operato recentemente e a chi soffre di gas in eccesso, perché ne favorisce l'espulsione; l'azione della camomilla consiste nel regolare il funzionamento dell'intestino.
  3. eupeptico: la pianta è indicata, come tisana, in caso di indigestione o di digestione pesante; calma la nausea e il vomito e stimola leggermente l'appetito; le camomille più amare esercitano un'azione eupeptica più intensa.
  4. emmenagogo: stimola la funzione mestruale, normalizzandone la quantità e la periodicità; allevia inoltre i dolori mestruali.
  5. febbrifugo e sudorifero: si consiglia a chi ha la febbre, soprattutto ai bambini, perché fa abbassare la temperatura e stimola la traspirazione.
  6. analgesico: calma i dolori di testa e alcune nevralgie.
  7. antiallergico: moderale reazioni allergiche, come la rinite e la congiuntivite allergica, e la sua efficacia è stata dimostrata scientificamente; si raccomanda per calmare le crisi allergiche acute e come cura di base per evitarle. I risultati migliori si ottengono combinando l'uso interno (tisane) con quello esterno (colliri, irrigazioni nasali).
  8. cicatrizzante, emolliente e antisettico: per uso esterno dà buoni risultati per lavare ogni tipo di ferite, ulcere e infezioni della pelle; è stato dimostrato che l'azulene è efficace contro lo stafilococco emolitico e il Proteus; l'infuso di camomilla costituisce un ottimo collirio per fare lavaggi oculari in caso di congiuntivite o di irritazione oculare e si utilizza anche come antinfiammatorio, in impacchi, per eczemi, eruzioni e altre malattie della pelle. I lavaggi anali con l'infuso decongestionano le emorroidi.
  9. antireumatico: l'olio di camomilla si utilizza per fare frizioni in caso di lombaggine, di torcicollo, di dolori reumatici e di contusioni. 

Preparati a base di camomilla.

Per le proprietà citate, la camomilla matricaria è considerata comunemente la pianta medicinale più versatile. Apprezzata fin dall'antichità, può essere utile per risolvere modesti e comuni problemi di salute. I preparati a base di camomilla offrono un contenuto di principi attivi assai diverso a seconda della loro preparazione.

L'infuso di camomilla è utile nei disturbi gastro-intestinaliper la presenza dei flavomoidi che hanno azione spasmolitica. D'altra parte, l'infuo è privo di quelle caratteristiche antinfiammatorie utili soprattutto in caso di uso esterno (impacchi, bagni e collutori), questo perché l'acqua calda libera unicamente i componenti idrosolubili, mentre i princìpi attivi responsabili dell'azione antinfiammatoria, l'azulene e il bisabololo, essendo solubili in alcol sono presenti solo nell'estratto alcolico.

Il potenziale allergenico di questa pianta è limitato. I soggetti colpiti sono soprattutto quelli che già soffrono di allergie (al polline, ad alcuni alimenti o ad erbe aromatiche). Inoltre da qualche tempo si coltiva la varietà "Manzana" che, grazie ad una selezione mirata delle sementi, non contiene più la sostanza ritenuta responsabile delle allergie. Infine, la soluzione di camomilla viene filtrata dopo l'estrazione per eliminare gli eventuali residui di polline potenzialmente allergizzanti, come avviene con la maggior parte delle piante.

bagni: si preparano aggiungendo all'acqua della vasca da 2 a 4 litri di infuso concentrato; questi bagni con acqua tiepida esercitano un'efficace azione rilassante e calmante.
impacchi: con l'infuso concentrato, si applicano sulla zona della pelle lesa. In caso di lombaggine, di torcicollo, di dolori reumatici e di contusioni.

frizioni: si fanno con olio di camomilla, che si prepara scaldando a bagnomaria, per 3 ore, 100 g di infiorescenze in mezzo litro di olio di oliva; si filtra l'olio e si conserva in bottiglia.

Ricerca personalizzata




Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:

Originaria dell'Europa e del Caucaso. Lo si distingue dal Tiglio nostrano (Tilia platyphyllos) per le foglie più piccole, la forma asimmetricamente cuoriforme e la presenza nella pagina inferiore sulle ascelle delle nervature, di ciuffetti bruno rossastri.

Caratteristiche generali.

Dimensione e portamento:
Albero alto fino a 30 metri,chioma arrotondata.

Tronco e corteccia:
Tronco diritto, prima grigiastro e liscio, poi rugoso e solcato.

Foglie:
Foglie lunghe 3-9 cm , base asimmetricamente cuoriforme e apice acuminato, margine finemente seghettato; pagina superiore verde scuro e un po' lucido, pagina inferiore glaucescente, glabra a parte piccoli ciuffi di peli cotonosi bruno rossastri alle ascelle delle nervature.

Strutture riproduttive:
Fiori giallognoli, profumati, in gruppi penduli di 4-15 fiorellini, dotati di brattea aliforme. I frutti sono piccoli acheni ovoidali che quando si staccano utilizzano la brattea alata per essere trasportati dal vento.


Usi.

Il legno di Tiglio selvatico è tenero, uniforme e di facile lavorazione. Viene utilizzato per sculture. I fiori sono ricchi di oli essenziali e vengono utilizzati per preparare infusi calmanti.

Classificazione, origine e diffusione

Divisione: Spermatophyta
Sottodivisione: Angiospermae
Classe: Dicotyledones
Famiglia: Tigliaceae

E’ una pianta molto longeva e pollonante alla base anche se non viene stimolata da tagli o riduzioni della chioma. Il tronco è robusto con corteccia liscia e macchiettata che da grigio bruna in età giovanile si fa poi grigia, con solchi longitudinali poco profondi. La chioma è ampia, sub globosa, e la crescita che pur non essendo rapida mantiene un buon ritmo per moltissimi anni.

I rami giovani sono glabri e lucidi, prima verdi olivastri e poi bruno rossicci, con gemme rossastre, ovoidi globose. Le foglie sono ovate sub-orbicolari a volte asimmetriche, leggermente appuntite all’apice, con la pagina superiore verde scuro, liscia, con le nervature terziarie non evidenti, e la pagina inferiore verde chiaro o glauca con peli bruni all’ascella delle nervature.

Il margine è serrato e la lunghezza fogliare va da 3 a 9 cm, con foglie più grandi nei polloni che nei rami adulti. La fioritura avviene con due settimane di ritardo rispetto al Tiglio nostrano, da metà giugno a metà luglio, con infiorescenze sorrette da una lunga brattea. Ogni infiorescenza conta 5-15 fiori bianco giallognoli con ovario tormentoso e numerosi stami, poco profumati, con sepali di 3 mm e petali di 3-8 mm.

L’impollinazione è entomofila, e il nettare della pianta molto mellifero. I frutti di 5-6 mm sono sub-globosi con pericarpo membranoso con cinque costolature appena accennate, grigiastro e tormentoso a maturità, ovvero nel mese di ottobre.


La dispersione dei semi avviene a opera del vento durante tutto l’arco dell’inverno. L’apparato radicale all’inizio è a fittone, poi poco a poco diventa più ampio ma sempre robusto, con grosse radici sia approfondite nel terreno che in superficie. Si ibridizza con il Tiglio nostrano.


Clima e terreno.

foglie tiglio selvatico Il Tiglio selvatico dovrebbe essere presente in tutta la nostra penisola con l’esclusione di Puglia, Sicilia e Sardegna, anche se in Umbria la sua presenza pare incerta. Avendo esigenze climatiche di tipo più continentale che mediterraneo è maggiormente presente al Nord, mentre al Centro e al Sud è più rappresentata la sua forma ibrida con il Tiglio nostrano.

E’ diffuso tra i 100 e i 1700 m sul livello del mare, e tollera forti escursioni climatiche. E’ presente in piccoli gruppi in boschi con Rovere, Frassino, Carpino, Cerro, Faggio e Abete bianco.

Predilige terreno fresco e profondo, ricco in humus, non tollera terreni argillosi e compatti o sabbiosi. Sui terreni acidi soppianta del tutto il Tiglio nostrano che non tollera l’acidità del suolo. Resiste meglio del Tiglio nostrano all’aridità estiva, comunque esige umidità d’aria e di suolo e esposizioni in mezzombra essendo pianta sciafila.

Parassiti e malattie.

Tra le malattie a cui é sensibile il Tiglio selvatico ricordiamo la carie del legno, i marciumi radicali, il cancro, l’antracnosi, la cercosporiosi, e l’oidio. I parassiti principali che possono attaccare la pianta sono i rodilegno, vari insetti defogliatori, gli afidi e gli acari.

Caratteristiche del legno.

Il tiglio selvatico non ha legno durevole, ma dato che è bello e facile da lavorare viene usato per produrre sculture e in ebanisteria e modellistica. Viene usato anche per la produzione di carboncini da disegno. Non è un buon combustibile.


Varietà.

Segnaliamo l’ibrido tra Tilia cordata e Tilia dasystyla, chiamato “T.x euchlora K. Koch”, noto dal 1860 e diffuso tra la Crimea e il Caucaso e l’Iran, con un bel portamento e poco appetito dagli afidi, quindi più utilizzabile in contesti urbani dove è necessario evitare l’imbrattamento dei marciapiedi e delle automobili. Esiste inoltre l’ibrido “Tiglio intermedio”, risultato dell’incrocio tra Tilia cordata e Tilia platyphyllos, con caratteristiche intermedie tra le specie originarie, molto diffuso soprattutto al centro e al sud in Italia.




Ricerca personalizzata


Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: