L’argomento dei vitigni autoctoni è disciplinato dalla Legge n. 82 del 20 febbraio 2006 ‘Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l’organizzazione comune di mercato (OCM) del vino’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2006 - Supplemento ordinario n. 59; a integrazione delle definizioni previste dall’articolo 1, paragrafi 2 e 3, e dall’allegato I del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, che stabilisce le definizioni dei prodotti nazionali. Dalla legge si evince che “È definito ‘vitigno autoctono italiano’ il vitigno la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale”. E sono le Regioni (e le province autonome di Trento e di Bolzano) ad accertare la coltivazione di vitigni autoctoni italiani sul territorio di competenza.
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A tale fine esse verificano la permanenza della coltivazione per un periodo di almeno cinquanta anni, la diffusione sul territorio, il nome, la descrizione ampelografica e le caratteristiche agronomiche dei vitigni. Le Regioni trasmettono la documentazione necessaria al ‘Comitato nazionale per la classificazione delle varietà di viti’, che la esamina e accerta la sua rispondenza alle prescrizioni, provvedendo poi alla iscrizione del vitigno nel Registro nazionale delle varietà di viti con l’indicazione ‘vitigno autoctono italiano’. A questo punto il vitigno viene iscritto con l’indicazione del nome storico tradizionale, di eventuali sinonimi, delle principali caratteristiche di colore dell’acino e della zona di coltivazione di riferimento. Tutte le regioni italiane, oggi, sono al lavoro per definire un elenco dei propri vitigni autoctoni. Quindi ancora non c’è nulla di definitivo. In Romagna, probabilmente, i vitigni autoctoni, saranno: Albana, Albana nera, Canina nera, Centesimino, Negrettino e Uva longanesi.

Albana.
Il vitigno ha come sinonimi: albanone o albana grossa e poi sempre albana, a grappolo fitto, a grappolo lungo, della forcella o forcella, a grappolo rado o gentile, di Bertinoro, di Forlì, di Romagna, del riminese o riminese. Ritenuti errati sono invece greco, greco di Ancona, biancame, albana d’Istria, bianchetto di Treviso, albanella di Romagna. L’albana è il vitigno romagnolo per eccellenza. La zona di coltivazione è quella collinare e ben delimitata: felicemente influenzata dal Mare Adriatico, dagli Appennini, dai fiumi di medio percorso, dalle buone e costanti precipitazioni, dai venti che spirano quasi ininterrotti. I terreni sono caratterizzati dalla prevalenza calcarea, arricchita da fossili marini e residui organici, con la migliore esposizione dei vigneti da est a sud, in grado di favorire l’azione del sole e garantire una piena ed ottimale maturazione delle uve. Il suolo classico dell’albana è il cosiddetto ‘spungone romagnolo’, che si allunga dalla zona storica di Bertinoro fino all’imolese, tutte aree collinari, ad altezze variabili tra 100 e 200 m/slm. I vari tentativi di coltivare l’albana al di fuori della Romagna sono sempre falliti miseramente.
È un vitigno molto antico, con origini talmente remote da rendere difficile la distinzione tra storia e leggenda. L’origine del nome sembra derivi dai Colli Albani, la provenienza dei legionari colonizzatori della Romagna o dal colore dell’uva chiara, da cui ‘albus’ (bianco per eccellenza) = albana. Il nome ‘albana’ compare ufficialmente per la prima volta, nel 1233, (Pier De’ Crescenzi, Ruralium Commodorium Libri Duodecim). L’albana è un vitigno a bacca bianca, ma con le caratteristiche di uno a bacca rossa, poiché ha una notevole ricchezza di tannini nei vinaccioli e nelle bucce ed esprime il suo maggior potenziale con particolari vinificazioni che prevedono il residuo zuccherino.
Albana nera.
Chiamata anche albana rossa, è un antico vitigno romagnolo, coltivato fin dal 1600, nelle campagne del ravennate e in particolare nella zona faentina, al confine con il bolognese. Dall’imolese e dal faentino, poi la coltivazione dell’albana nera si diffuse, non uniformemente, nella pianura romagnola. Già presente in un elenco di vitigni coltivati in provincia di Bologna del 1879, l’uva origina un vino rosso intenso, con sfumature granato e con schiuma persistente; il profumo ricorda molto gli odori della post-fermentazione; il sapore è asciutto, leggermente frizzante e piacevolmente ammandorlato. Un vino, dunque, che crea allegria, accompagna il pasto delle rustiche mense contadine, in particolare con gli insaccati di maiale e resiste discretamente uno o due anni. Negli ultimi decenni la coltivazione dell’albana rossa si è ridotta a pochi filari nella zona collinare di Faenza e Brisighella ed il consumo è a livello familiare ed amatoriale.
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Canina o canèna.
È un vitigno tipico romagnolo coltivato principalmente a Russi, Bagnacavallo, Faenza, Cotignola, Lugo e Castel Bolognese. Nel secolo scorso è stato confuso con il canaiolo nero, della Toscana; in ogni caso, è spesso scambiato con il vitigno della Cagnina, in realtà è molto diverso. La canina è piuttosto rara, si trova ancora coltivata in pochi filari, per uso familiare, per gli amici e per la piccola vendita locale. Oggi non si vinifica più in purezza, è più facile trovarla utilizzata con altre uve rosse nostrane. Il vino Canina, in edizione moderna, ha sempre il colore rosso tenue del melograno, con un tono cerasuolo, il profumo è fruttato, con sentori di piccoli frutti e di terra bagnata; il sapore è simpaticamente aspro e spigoloso; talvolta amabile (il che la fa confondere con la Cagnina), debole di corpo e con un basso titolo alcolometrico 11-11.5%, già pronto da consumare in ottobre. È il vino servito con il ‘bel e cot’ nell’ambito della ‘Fira di sett dulur’ di Russi, verso la terza settimana di settembre di ogni anno. Si dice che fosse - nella zona di Cotignola - il vino amato particolarmente da Stefano Pelloni, detto il Passatore e dalla sua banda, consumato nei tradizionali boccali di terracotta. È un vino precoce, amato dai contadini, si potrebbe definire ‘novello’, da consumare nei mesi freddi, quando arrivano le castagne e la voglia di piatti a base di maiale, e da esaurire entro la primavera.
Centesimino.
Centesimino, o sauvignôn rosso, o anche savignon rosso, com’è chiamato nel faentino, è una varietà di uva coltivata in Romagna almeno dal secondo dopoguerra. Verso la metà degli anni ‘60 si arrivò perfino ad un tentativo di valorizzazione di questo vitigno, tanto che l’aggiunto-agronomo delle Opere Pie Raggruppate Paolo Visani, propose di imbottigliare parte del vino ottenuto e fece realizzare dalle Litografie Artistiche Faentine un’etichetta da apporre sulle bottiglie. Fonti scritte e passa parola consentirono di verificare che i numerosi vigneti messi a dimora tra gli anni ‘60 e ‘70 nella zona di Oriolo derivavano da impianti precedenti, a loro volta allestiti prendendo il materiale da un vigneto presente nel podere ‘Terbato’ di proprietà del signor Pietro Pianori, detto Centesimino. Dagli anni ‘60 ad oggi il vitigno è stato indicato con uva di centesimino, dal soprannome del viticoltore che per primo iniziò la coltivazione.
Negrettino.
Sinonimi: neretto, negretto, maiolo. Vitigno coltivato nella provincia di Bologna e già menzionato dal De’ Crescenzi nel 1495. Le notizie storiche, del vitigno, sono incerte e contraddittorie. È, in ogni modo, un antichissimo vitigno romagnolo a bacca rossa, che nei secoli è stato scambiato con altre uve rosse similari. Dal negrettino si ottiene un vino dolce, molto amato e beverino, considerato terapeutico poiché garantiva una proverbiale facile digestione. In Romagna, con il negrettino vinificato in purezza, si ottiene un vino semplice, con caratteristiche ben precise: colore rosso amaranto intenso con toni violacei; profumo fresco e vinoso, con sentori di piccoli frutti rossi come il lampone e l’amarena; gusto amabile, vivace, fruttato, leggermente tannico e piacevolmente acidulo, debole di corpo e leggero d’alcol (10% o poco più). Era vino pronto in poche settimane, da bere entro pochi mesi, poiché, per la sua delicatezza, non reggeva il tempo e si sposava bene con le crostate di frutta rossa, i dolci casalinghi, i tortelli con la saba, le frittelle dolci, i dolci tradizionali fatti con la farina di castagne. Oggi è un’uva poco coltivata, in alcune zone del forlivese e del faentino, per l’uso familiare e di pochi, ma fortunati, appassionati.
Uva Longanesi.
La produzione di questo vitigno, detto anche Bursôn, dal soprannome della famiglia che lo ha salvato, si estende su una superficie di 200 ettari e trova le condizioni ottimali nella pianura ravennate e nelle colline faentine. L’uva longanesi potrebbe essere uno di quei vecchi vitigni, salvato per la resistenza dei grappoli alla marcescenza e per la rusticità della pianta. Proprio per queste sue caratteristiche qualche ceppo era piantato nei ‘roccoli’, aree boschive al limite dei fondi rustici, dove si praticava la caccia dal capanno agli uccelli di passo, perché la presenza di uva matura sulle piante fino a tutto novembre serviva da richiamo. Ed è proprio abbarbicata ad una quercia del ‘roccolo’ che Aldo Longanesi la trovò, quando intorno agli anni venti prese possesso del suo fondo di Via Boncellino a Bagnacavallo. La sua sopravvivenza nel tempo si deve ad Antonio Longanesi, il quale negli anni ‘50 lo trovò nel suo podere. Fece alcuni innesti e attese la prima uva. Con stupore il risultato si rivelò un grande successo. L’uva longanesi, secondo esami di laboratorio, ha un Dna completamente diverso da quello di altri vitigni italiani a bacca rossa. Qualcuno lo chiama un po’ scherzosamente ‘amarene della pianura’, in ogni modo, ha un sapore davvero esuberante e caldo, con tannini solo leggermente amarognoli. Il Consorzio di Bagnacavallo, fondato nel 1999, con l’obiettivo di valorizzare e salvaguardare i tanti prodotti tipici della zona, associa 14 produttori e 24 viticoltori, vincolati al rispetto di un regolamento interno che è aggiornato periodicamente ed ha brevettato il Bursôn. Il risultato è un vino nato piuttosto ricco di antociani e polifenoli, ma che nella crescita ha progressivamente ammorbidito le sue caratteristiche
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Il pesco è probabilmente originario della Cina (secondo alcuni del Medio Oriente - Persia), dove lo si può ancora rinvenire allo stato selvatico.

L'introduzione del pesco in Europa viene da alcuni attribuita ad Alessandro Magno a seguito delle sue spedizioni contro i Persiani, secondo altri i Greci lo avrebbero introdotto dall'Egitto.

Viene coltivato in molti Stati nelle zone con clima temperato mite. A livello mondiale i maggiori produttori sono gli Stati Uniti, seguiti dall'Italia, Spagna, Grecia, Cina, Francia e Argentina.

In Italia le regioni maggiori produttrici sono l'Emilia-Romagna (circa 1/3 della produzione), Campania (1/4), Veneto e Lazio. I primi pescheti specializzati in Italia risalgono alla fine dell'800 e sono stati realizzati in provincia di Ravenna.

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Il pesco appartiene alla famiglia delle Rosaceae, tribù delle Amigdaleae, sezione delle Prunoidee , genere Persica, specie vulgaris. Secondo altri studiosi apparterrebbe al genere Prunus (specie persica), come l'albicocco, il ciliegio, il mandorlo e il susino.

Il genere Persica comprende varie specie, tra cui diverse ornamentali. Tra quelle coltivate ricordiamo:
- Persica vulgaris Mill. (= Prunus persica (L.) Batsch.): produce frutti con buccia tomentosa; da consumo fresco o da industria;
- Persica laevis DC (= Prunus persica var. necturina Maxim., Prunus persica var. laevis Gray): pesco noce o nettarina, che produce frutti glabri da consumo fresco.

Il pesco comune è un albero di modeste dimensioni, alto fino a ca. 8 m, con apparato radicale molto superficiale, corteccia bruno-cenerina e rami radi, divaricati, rosso-bruni.

Le foglie sono lanceolate, strette, seghettate.

I fiori, che sbocciano prima della comparsa delle foglie, sono ermafroditi, ascellari, pentameri, colorati in rosa più o meno intenso. I petali sono cinque, il calice è gamosepalo, con cinque sepali; gli stami sono numerosi, fino a 20-30. Il pesco è, in genere, una specie autofertile. Gli ovuli, generalmente due, non giungono tutti a maturazione, ma solo uno di essi viene fecondato e giunge a maturità. Il nocciolo di pesco contiene perciò un solo seme (o mandorla) solcato profondamente, che è di sapore amaro per l'elevato contenuto di amigdalina, un glucoside cianogenetico caratteristico di alcune drupacee. I frutti (le pesche) sono drupe carnose, tondeggianti, solcate longitudinalmente da un lato, coperte da una buccia tomentosa (pesche propriamente dette) o glabra (pesche-noci o nettarine) di vario colore. La polpa è succulenta, di sapore zuccherino più o meno acidulo, di color bianco, giallo o verdastro. La pesca ha una tipica consistenza polposa e succosa che è dovuta all'elevato contenuto in acqua ed alla presenza di pectina.
La maturazione dei frutti avviene tra la prima e la seconda decade di maggio nelle zone meridionali, fino alla fine di settembre per le cultivar più tardive.
In linea di massima le condizioni climatiche italiane e degli altri Paesi mediterranei sono ideali per la coltivazione del pesco che può sopportare limiti assai ampi, da minime invernali di anche -15 -18°C fino ad ambienti subtropicali dove il riposo invernale è alquanto limitato.

Pesche varietà Regina di Londa Pesche varietà Regina di Londa

Varietà e portinnesti.

La scelta del portinnesto dipende da numerosi fattori: il tipo di terreno, le colture che hanno preceduto, la possibilità o meno di irrigare, la reperibilità sul mercato vivaistico, la varietà, ecc. Numerosi sono i possibili portinnesti utilizzabili anche se, nella pratica, quelli più diffusi sono pochi. Ricordiamo: Franco Slavo, Selezioni del franco, Serie P.S., GF 677, Sirio, Hansen, Barrier 1, Susino, M.r.S 2/5, Penta e Tetra.

Le cultivar di pesco, in relazione alla specie di appartenenza e al tipo di prodotto fornito, vengono distinte in:
- cultivar da consumo fresco;
- nettarine;
- percoche.

Nell'ambito delle specie fruttifere maggiormente diffuse nel nostro paese, il pesco da sempre registra la più ampia "creatività" intesa come numero di nuove cultivar che annualmente vengono poste all'attenzione dei frutticoltori. Tale situazione pone problematiche sia al mondo della ricerca, per le difficoltà che si incontrano nel tentativo di valutare preventivamente le "novità varietali" prima che siano rese note sui cataloghi vivaistici; sia a quello produttivo, per il disorientamento che provoca tra i frutticoltori al momento della scelta delle cultivar che dovrebbero rispondere alle esigenze programmatiche dei nuovi impianti da realizzare. Questo intenso dinamismo ha modificato sostanzialmente il "vecchio assortimento varietale", cosa non avvenuta per molte altre specie fruttifere.


Soprattutto nell'ultimo decennio si è assistito ad importanti mutamenti dei caratteri pomologici e commerciali delle nuove cultivar di pesco che interessano sostanzialmente:

a) il colore dell'epidermide, che si è evoluto dal rosso più o meno soffuso e spesso striato su fondo difficilmente privo di verde, seppure chiaro, ad un rosso molto intenso ed estremamente unito, che compare spesso assai prima dell'epoca di raccolta commerciale dei frutti;
b) il sapore della polpa, che tende ad "appiattirsi" rispetto a quello tipico delle "vecchie cultivar", tanto a polpa gialla (generalmente più acide), quanto a polpa bianca (quasi sempre più sapide, perché maggiormente ricche di zuccheri);
c) la consistenza del frutto, tanto sull'albero che post-raccolta, che nelle "nuove cultivar" si presenta elevata o molto elevata, rispetto a quella media o medio-scarsa delle "vecchie cultivar".
Queste modificazioni hanno interessato le cultivar per il consumo fresco, tanto di pesco che di nettarine, ma non quelle per l'industria, più legate a specifiche esigenze tecnologiche dei mezzi meccanici e chimici utilizzati per la trasformazione dei frutti.

Le cultivar da consumo fresco vengono distinte in:
- cultivar a polpa gialla consigliate: Earrly Maycrest, Queencrest, Maycrest, Springcrest, Spring Lady, Springbelle, Royal Glory, Flavorcrest, Redhaven, Rich Lady, Lizbeth, Red Moon, Red Topo, Summer Rich, Maria Marta, Glohaven, Pontina, Romestar, Elegant Lady, Suncrest, Red Coast, Symphonie, Franca, Sibelle, Cresthaven, Roberta Barolo, Bolero, Fayette, Promesse, Sunprice, Aurelia, Early O'Henry, Padana, Calred, O'Henry, Guglielmina, Parade, Flaminia, Fairtime;

- cultivar a polpa bianca consigliate: Primerose, Springtime, Alexandra, Felicia, Anita, Iris Rosso, Maria Grazia, Daisy, Alba, Bea, Redhaven Bianca, Maria Bianca, Fidelia, White Lady, Rosa del West, Maria Rosa, Rossa San Carlo, Maria Angela, Tendresse, Toro, Dolores, K2, Regina Bianca, Duchessa d'Este, Maria Delizia, Tardivo Giuliani, Michelini, Regina di Londa.

Le nettarine possono essere distinte in:
- a polpa gialla consigliate: May Glo, Lavinia, Armking, Rita Star, Maria Emilia, Supercrimson, May Diamond, Red Delight, Weinberger, Gioia, Early Sungrand, Big Top, Spring Red, Firebrite, Maria Laura, Independence, Flavor Gold, Pegaso, Maria Carla, Red Diamond, Antares, Summer Grand, Flavortop, Stark Redgold, Nectaross, Maria Aurelia, Venus, Maria Dolce, Orion, Sweet Red, Caldesi 84, Royal Giant, Sirio, Scarlet Red, Fairlane, Tastyfree, Caldesi 85, California;
- a polpa bianca: Silver King, Caldesi 2000, Caldesi 2010, Silver Star, Silver Moon, Caldesi 2020.

Tra le pesche da industria (o percoche) consigliate ricordiamo: Federica, Tirrenia, Loadel, Villa Giulia, Romea, Villa Adriana, Tebana, Adriatica, Lamone, Villa Ada, Babygold 6, Villa Doria, Carson, Vivian, Andross, Jungerman, Babygold 9, Merriam.

Pesche varietà Regina di Londa Pesche varietà Regina di Londa

Tecnica colturale.

Il pescheto può essere eseguito con astoni innestati da vivaio, piante innestate a gemma dormiente (1-2 gemme), con portinnesti di un anno da innestare in campo e anche con piante in vaso innestate e in vegetazione.

I sistemi di allevamento del pesco si possono classificare in: forme in volume, forme a parete verticale e a pareti inclinate. Tutte le forme si possono ottenere più o meno rapidamente a seconda che si privilegi una potatura che si preoccupi soprattutto della forma voluta oppure la precoce entrata in produzione, limitando quanto più possibile interventi di taglio nei primi anni arrivando alla forma voluta più tardi. La moderna frutticoltura tende sempre più al secondo metodo per ammortizzare i costi nel minor tempo possibile. In generale, si può affermare che l’attuale tecnica tende a contenere lo sviluppo delle piante al fine di ridurre i tempi di lavoro.

Le forme di allevamento utilizzate nelle diverse realtà persicole sono: vaso, vasetto ritardato, vaso veronese, Palbidone, Palmetta, Pal-spindel, Fusetto, Ipsilon trasversale.

La scelta del sesto d'impianto deve tenere conto di molti elementi: il portinnesto, la fertilità del terreno, la forma di allevamento, la disponibilità di acqua, la varietà , ecc.

La potatura di produzione ha lo scopo di regolare la produzione e migliorare la qualità dei frutti. Nel pesco inizia molto presto: già al secondo anno compaiono diversi frutti e al quarto o al quinto anno si passa alla piena produzione; l’intensità del diradamento dei rami misti deve anch’essa essere man mano maggiore fino a raggiungere il 50-70 % nella fase adulta. Al raggiungimento della piena fruttificazione si deve porre la massima attenzione per mantenere il giusto equilibrio fra vegetazione e produzione, distribuendo quest’ultima sulle branche primarie e secondarie in modo razionale mediante l’asportazione dei rami che hanno prodotto e tagli di ritorno sopra uno o più rami misti di giusto vigore, eliminando i rami troppo vigorosi o male inseriti così da mantenere i rami a frutto il più possibile vicino alla struttura scheletrica della pianta.

Le varietà di pesche da industria (percoche), in generale, producono meglio sui dardi (mazzetti di maggio) e sui brindilli inseriti sui rami che hanno già fruttificato (grondacci), pertanto questi non vanno asportati completamente ma accorciati o diradati in quanto per queste varietà l’industria richiede frutti di pezzatura uniforme e non grossa.

Durante la piena fruttificazione è necessario eseguire uno o due interventi in verde per asportare i succhioni, diradare o piegare i germogli onde favorire una buona lignificazione e mantenere rivestita la parte basale della chioma.

Il diradamento dei frutti è la più importante operazione per ottenere frutti di pezzatura commerciale a complemento della potatura sia di allevamento che di produzione. Va eseguita alla quarta-sesta settimana (25-35 giorni) dopo la piena fioritura: iniziata precocemente assicura una miglior pezzatura dei frutti, un anticipo della maturazione, miglior colore e maggiore differenziazione di gemme per l’anno successivo ma, nelle varietà soggette a spaccatura del nocciolo, ne accentua il difetto. Nelle varietà molto precoci e sotto tunnel di forzatura, può essere utile eseguire il diradamento in due volte, una prima volta energica e una seconda di rifinitura.

La corretta nutrizione è un elemento fondamentale per assicurare elevati livelli produttivi e qualitativi del pescheto; essa deve tenere conto di tutte le tecniche colturali applicate e delle reali condizioni del terreno opportunamente analizzato. L’estrema diversità di tipi di terreno e di ambienti in cui il pesco viene coltivato rende impossibile una generalizzazione della concimazione; questa deve sempre essere fatta sulla base di informazioni relative alle caratteristiche fisico-chimiche risultanti dalle analisi del terreno.

Durante la preparazione del terreno è sempre consigliabile un’abbondante concimazione organica sia generalizzata che localizzata sulla fila o nella buca; nei terreni sciolti, grossolani, è opportuno frazionare gli apporti organici distribuendone parte prima dell’impianto e parte alla fine della prima vegetazione, calcolando che per ogni 100 quintali di letame si apportano circa 50 unità di azoto, 30 unità di fosforo, 40 unità di potassio, microelementi, e si migliora la struttura del terreno nonché l’assorbimento degli elementi nutritivi. La concimazione minerale deve tenere conto delle dotazioni di fosforo e potassio rilevate. Con le nuove tecniche il periodo di allevamento è ridotto quasi ad una sola vegetazione, pertanto fin dal primo anno si deve intervenire con la concimazione in funzione della produzione; questa dovrebbe essere guidata dalla diagnostica fogliare stante la diversità di condizioni che caratterizza le aree peschicole e gli stessi frutteti.

L’inerbimento favorisce l’assorbimento sia del potassio che del fosforo. I microelementi vanno considerati con attenzione ricorrendo alla diagnostica fogliare per valutarne la necessità di apporti durante la fase produttiva.
I fabbisogni idrici del pesco variano a seconda di diversi fattori: terreno, piovosità, portinnesto, varietà, gestione del suolo, ecc.. E’ stato calcolato che un ettaro di pescheto in produzione consuma da 2500 a 4000 mc d’acqua pari a 250-400 mm di pioggia; considerando però che le piante utilizzano solo una parte dell’acqua che arriva loro per le precipitazioni o per l’irrigazione, l’apporto deve essere sensibilmente superiore.

La distribuzione del totale volume di adacquamento deve differenziarsi in funzione delle diverse situazioni: più frequente nei terreni sciolti che in quelli compatti; più concentrata in primavera-inizio estate per le varietà precoci; abbondante nella fase di fioritura, scarsa fino all’indurimento del nocciolo, più forte durante l’accrescimento del frutto, ancora limitata dopo la raccolta seppur continua, per favorire la differenziazione delle gemme e l’accumulo di sostanze di riserva.
L’inerbimento anche parziale del pescheto comporta

a necessità di abbondare con le concimazioni e l’irrigazione a causa della competizione nutrizionale ed idrica che può compromettere l’attività vegetativa e la quantità dei frutti. L’inerbimento migliora le caratteristiche di porosità e permeabilità del terreno, inoltre incrementa il contenuto di sostanza organica e l’attività biologica del terreno.

Nei pescheti condotti in coltura asciutta non è possibile l’inerbimento ed è necessario ricorrere alla lavorazione del suolo con la precauzione di eseguirla in modo molto superficiale, evitando l’esecuzione in periodi troppo umidi per non compattare e creare problemi di asfissia alle radici del pescheto.

Produzioni.

Per determinare il momento ottimale per eseguire la raccolta si può ricorrere all'uso di penetrometri, strumenti che consentono di determinare la resistenza alla penetrazione di puntali di superficie nota, anche se per il pesco si ricorre spesso ad altri parametri, tra cui il controllo della colorazione dell'epidermide, in particolare modo del colore di fondo.

La raccolta viene effettuata generalmente in più volte; sono escluse le percoche qualora si pratichi la raccolta meccanica. questa operazione può essere fatta ricorrendo ai sistemi tradizionali, cioè alle scale oppure ad appositi carri raccolta opportunamente attrezzati per l'utilizzazione dei pallets.
La produttività degli impianti peschicoli può variare notevolmente: risulta minore per le cultivar precoci mentre tende ad aumentare per quelle tardive; nelle cultivar più produttive può giungere fino a 400 q/ha.

Dalle aziende le pesche passano, normalmente, ai magazzini di lavorazione dove si provvede alla cernita, alla spazzolatura, e al confezionamento in imballaggi standardizzati e per le varietà intermedie o tardive alla conservazione.

La pesca oltre che essere consumata allo stato fresco in numerose preparazioni è largamente utilizzata nella produzione di marmellate, succhi e pesche sciroppate, pesche essiccate, mostarda e canditi, frutti al brandy, alcool.. In Italia l'industria conserviera di pesche occupa un posto di primo piano.

Avversità.

Avversità non parassitarie.
ono rappresentate dalle difficili condizioni climatiche, dalle alterazioni dovute a carenze o eccessi nutrizionali e idrici, da un errato uso di fitofarmaci o dagli inquinanti atmosferici. Le principali avversità meteoriche sono le basse temperature, la grandine, la neve, e il vento. I freddi precoci risultano dannosi in alberi di pesco abbondantemente e tardivamente concimati con azoto e/o oggetto di irrigazioni eccessive eseguite tardivamente e in tutti i casi in cui l'attività vegetativa delle piante sia protratta oltremisura nel tempo. I forti freddi invernali possono causare danni anche gravi. I freddi tardivi risultano particolarmente dannosi in prossimità della fioritura. La grandine è in grado di provocare gravi danni non solo alla produzione ma anche alla vegetazione. Il vento risulta molto dannoso durante la fioritura perché impedisce il volo dei pronubi, oltre che in prossimità della maturazione in quanto determina un distacco anticipato dei frutti.

Virosi, micoplasmosi e batteriosi.
L tecnica della micropropagazione ha reso possibile la commercializzazione di materiale esente da virosi.

Ciononostante nei pescheti adulti è possibile riscontrare ancora diverse virosi o micoplasmosi quali: accartocciamento clorotico, calico o mosaico giallo, nanismo, maculatura anulare, maculatura clorotica, mosaico, rosetta a mosaico, rosetta a foglie saliciformi, pesca verrucosa, butteratura del legno, giallume, rosetta, malattia X.

Le batteriosi che si possono riscontrare sul pesco sono rappresentate essenzialmente dal tumore radicale, dal cancro batterico e dalla maculatura batterica.

Micosi
Molte sono le crittogame parassite del pesco; tra le tante risultano più dannose la bolla, l'oidio, il corineo, la monilia, il cancro, il mal del piombo, il marciume del colletto.

Parassiti animali
Tra gli insetti ricordiamo: gli afidi (afide nero del pesco, afide bruno del pesco, afide farinoso del pesco, afide verde del pesco), le cocciniglie (cocciniglia a barchetta del pesco, parlatoria dei fruttiferi, cocciniglia bianca del pesco, cocciniglia di S. Josè), l'anarsia, la tignola orientale, la mosca della frutta; danni occasionali possono essere provocati dal taglia gemme dei fruttiferi, dal taglia gemme dorato, dallo scolitide dei fruttiferi e dallo xileboro dei fruttiferi.

Gli acari presenti sul pesco sono essenzialmente il ragno rosso, il ragnetto rosso, il ragnetto bruno dei fruttiferi.

I nematodi che attaccano il pesco sono molti e fra questi alcuni del genere Meloidogyne.

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La ciliegia nasce sul ciliegio (Prenus avium), un albero che può arrivare fino a 20 metri di altezza (anche se i coltivatori, per agevolare la raccolta, lo mantengono ad un altezza inferiore) che in primavera si copre di bellissimi fiori bianchi.

I frutti si presentano a forma arrotondata, carnosi e succosi, con la buccia liscia: sono attaccati a lunghi e fini peduncoli attaccati a gruppi sulla corteccia.

La ciliegia al suo interno contiene un nocciolo color legno e duro. La pianta del ciliegio si divide in due specie distinte: a frutto dolce e a frutto acido.
Il ciliegio dolce da due tipi di frutti diversi: le ciliegie duracine e le ciliegie tenerine: le ciliegie duracine (duroni) hanno polpa croccante e dura con colore rosso nerastro o bianco, mentre le ciliegie tenerine hanno polpa succosa e morbida dal colore nero o rosso.

Ciliegie

Il ciliegio acido si divide invece in tre categorie: le marasche, le amarene e le visciole: le marasche sono ciliegie di piccole dimensioni molto utilizzate dall’industria conserviera per produrre liquori (maraschino).

Le amarene, dall’inteso colore rosso hanno frutti con polpa e succo chiaro e sono utilizzate per la realizzazione di sciroppi e succhi.

Le visciole sono frutti di color rosso acceso così come il succo e la polpa che sono molto dolci e sono consumate fresche o utilizzate per la produzione di conserve.

E’ difficile decretare con certezza il paese di origine della pianta del ciliegio.

Probabilmente la sua origine è nell’Asia del Nord-est dove la ciliegia si coltiva in numerose regioni sin dall’epoca preistorica.

In Italia, invece, si narra che la pianta di ciliegia venneportata dall'Oriente dal grande generale Lucullo, che la piantò nel giardino della sua villa.

■ Coltivazione, varietà e raccolta.

ciliegie Tacuin_Cerise

La ciliegia viene coltivata in Europa, America, Australia e Asia.
L’Italia è produttrice di ciliegie a livello mondiale e le varietà più coltivate sono:

Bigarreau: ciliegie la cui raccolta comincia a meta maggio, fino al principio di giugno.

Duroni: sono le ciliegie, rinomate, di Vignola (Modena); dal colore rosso intenso o nero, di grande dimensione, molto dolci, la cui raccolta è fatta nel mese di Giugno.

Ferrovia: diffuse in Puglia, hanno una polpa molto succosa e la loro raccolta inizia a Giugno.

Marca: queste ciliegie vengono utilizzate per la produzione di conserve come le ciliegie sotto spirito e sciroppate, il loro colore è giallo-rosso.

Anella: ciliegie la cui caratteristica è data da una polpa succosa e croccante e da un colore rosso scuro, la possiamo trovare dal mese di giugno.

Per la vendita al pubblico le ciliegie vengono suddivise in due categorie: nella prima, i frutti devono essere provvisti di peduncolo e corrispondere per forma e colore alla varietà dichiarata; per la seconda categoria si accettano piccoli difetti di forma e colori diversi.

Per sua costituzione naturale (dimensioni degli alberi e dimensione dei frutti, gli alberi sono grandi ed assurgenti, ed i frutti sono relativamente piccoli), buona parte del costo del frutto è dovuto agli oneri di raccolta; in alcuni casi i coltivatori organizzano la vendita "sull'albero"; il cliente ritira un canestro e provvede direttamente a raccogliere i frutti sull'albero ed a riempire il canestro. Provvedendo direttamente alla raccolta il cliente pagherà un prezzo molto limitato.

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■ Al momento dell'acquisto.

Quando si acquistano le ciliegie, devono essere sode, di un bel colore vivo e brillante ed i peduncoli non devono risultare secchi.

Bisogna evitare le ciliegie che risultano piccole e poco colorite, in quanto non ancora mature, oppure quelle molli e macchiate di scuro che in questo caso non sono più fresche.

Le ciliegie vanno raccolte a maturazione completa perchè una volta staccate dall’albero non maturano più.

Conservazione.

Le ciliegie vanno conservate in frigorifero, in un sacchetto di plastica bucherellato (sono soggette a disidratarsi velocemente)e si conservano 2-3 giorni se la polpa risulta un po’ molle mentre qualche giorno di più se è soda.
In frigorifero dobbiamo tenere le ciliegie lontano da alimenti aromatici, in quanto questi frutti assorbono gli odori.

Possiamo anche congelarle, con o senza nocciolo, coperte da un po’ di zucchero: in questo caso poi il loro uso è da destinarsi alla cottura.
In commercio si possono trovare anche le ciliegie disidratate: in questo caso le conserveremo in un contenitore ben chiuso, in luogo fresco e asciutto, e possono durare un anno circa.

Uso in cucina.

In cucina le ciliegie si possono usare crude al naturale, aggiunte alle macedonie, a sorbetti, gelati e budini.

Sono le protagoniste per la preparazioni di dolci al cucchiaio, crostate e dolci con frutta candita.

Con le ciliegie si producono inoltre sciroppi, marmellate, succhi, mostarde, vini e acqueviti (in Italia ricordiamo il maraschino e il ratafià, in Alsazia il Kirsch).

Le ciliegie vengono utilizzate anche in accompagnamento ad alcuni piatti di selvaggina.

La ciliegia è una discreta fonte di vitamina C.

In base al tipo di ciliegia che consumiamo, abbiamo delle proprietà nutrizionali diverse: la ciliegia dolce, per esempio, ci fornisce una quantità di potassio superiore alla ciliegia acida.

La ciliegia selvatica ha proprietà diuretiche, antireumatiche e lievemente lassative, inoltre ha proprietà disintossicante.
I peduncoli invece sono usati per la preparazione di infusi che hanno un effetto diuretico.

1.- Tartellette di ricotta alle ciliegie.

tartelette di ricotta alle ciliegie

2.- Crostata di pesche e ciliegie.

Crostata di pesche e ciliegie

3.- Cappone alle ciliegie.

4.- Arrosto di cervo della Nuova Zelanda con condimento a base di ciliegie, pere arrostite e insalata di rucola in cestini di Parmigiano.

arrosto de cervo della Nuova Zelanda

5.- Frittelle con ciliegie e cognac

fritelle_con_ciliegie_e_cognac

Curiosità.

Secondo la tradizione Giapponese la ciliegia è simbolo di prosperità mentre, in Inghilterra sognare la pianta della ciliegia indica che è vicina una disgrazia.

ciliegie Badacsoni_1

Elenco di varietà.

    Adriana
    Arecca
    Bigareau
    Burlat
    Cornum
    Del Monte
    Durone nero di Vignola
    Early Lory
    Early Star
    Forlì
    Francesi
    Ferrovia
    Giorgia
    Graffione bianco
    Lapins
    Malizia
    Marasche (varietà di ciliegie piccole ed amarognole che crescono in abbondanza nell'entroterra di Zara, nell'attuale Croazia).
    Marosticana
    Montagnola
    Mora di Cazzano
    Moretta di Vignola
    Napoleon
    Sciazza di Siano
    Stella
    Summus
    Van
    Vittoria

ciliegie Durone Az Zanei

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Descrizione: Tutti i tipi di cavoli coltivati, anche se di aspetto molto diverso, sono varietà derivate dal cavolo selvatico che cresce sulle zone costiere del Mediterraneo e su quelle atlantiche, ad esclusione del “cavolo cinese” che deriva da una specie diversa, la “brassica sinensis”. A meno che non si voglia produrre seme, i cavoli in genere si coltivano con ciclo annuale anche se si tratta di piante a sviluppo biennale; le parti utilizzate sono in genere fusto, foglie e infiorescenze. Il cavolfiore coltivato corrisponde alla varietà “botrytis capitata”, che si distingue per il periodo di raccolta e per il colore dell’infiorescenza a palla. Il broccolo corrisponde invece alla varietà “botritys cymosa” ed è abbastanza diffuso in Italia soprattutto nel meridione. Rispetto al cavolfiore presenta un maggiore numero di foglie e oltre all’infiorescenza principale presenta germogli laterali (broccoletti).

cavolo

Tipi di terreno: I terreni migliori sono quelli di medio impasto, freschi, e ricchi di sostanza organica. Cresce bene nei climi temperati e subisce danni per le basse temperature invernali, per l’eccesso di umidità e anche per il troppo caldo e la siccità.

Semina: Si fa in vivaio da maggio a luglio a seconda delle varietà, per produrre le piantine da trapiantare. La semina va preferibilmente effettuata con luna crescente. Alcune varietà selezionate possono essere seminate (e trapiantate) tutto l’anno.

Concimazione: I terreni lavorati profondamente vanno concimati con letame ben interrato, o altrimenti con fertilizzante granulare complesso.

Trapianto: Si fa da luglio alla fine di agosto secondo le varietà, evitando le ore più calde del giorno, alla distanza di 0,6-0,8 m tra le file. Occorre assicurare una irrigazione di impianto e ulteriori irrigazioni periodiche. Il trapianto va preferibilmente effettuato con luna calante.

Raccolta: Da dicembre a marzo si effettua la raccolta, tagliando il fusto con attaccate alcune foglie che avvolgono l’infiorescenza. Il fusto del cavolfiore non ricresce mentre quello del broccolo ramifica e rivegeta dopo il taglio. La raccolta va fatta preferibilmente in luna crescente.

CAVOLO CAPPUCCIO TONDO BIANCO "NOZOMI F1"

Ibrido precoce che matura, nelle semine primaverili, a 45 giorni circa dal trapianto e nelle semine estive, a 55 giorni circa dal trapianto. Testa di forma rotonda con un distinto colore verde lucente, molto compatta e con eccellenti qualità organolettiche. La tenuta di campo è notevole: le teste sono pronte alla raccolta già quando pesano 800 gr e la stessa può procrastinarsi anche fino a quando raggiungono il peso di 1,8 kg. Possiede una resistenza intermedia a Xcc (Xantomonas campestris o marciume nero) ed a Aal (Alternaria). Distanza: tra le file cm 60-80 e sulla fila cm 50-70

CAVOLO CAPPUCCIO A PUNTA "CAPE HORN F1"

Varietà precoce, nelle semine primaverili matura a 50 giorni circa dal trapianto e in quelle estive a 60 giorni circa dal trapianto. Di qualità eccellente e con sapore particolarmente dolce, è indicato per preparare insalate miste o specialità a base di cavoli. Le teste sono compatte, di struttura solida e con midollo corto. Notevole è la rusticità e la tolleranza alla sovramaturazione. Cape Horn è molto popolare ed è considerato la varietà di riferimento nel settore dei cavoli conici. È resistentea Foc (Fusarium oxysporum o giallume del cavolo) e possiede una resistenza intermedia a Xcc (Xantomonas campestris o marciume nero) ed a Pp (Peronospora). Distanza: tra le file cm 60-80 e sulla fila cm 50-70

CAPPUCCIO ROSSO "RED JEWEL F1"

Cavolo cappuccio rosso ibrido precoce che matura, nelle semine primaverili, a 65 giorni circa dal trapianto e, nelle semine estive, a 70 giorni circa dal trapianto. La testa, del peso medio di 1,5 kg, è tondeggiante, di un bel colore rosso brillante ed è molto compatta. La pianta è rustica e, da segnalare, è la sua buona tolleranza alle spaccature. Possiede una resistenza intermedia a Xcc (Xantomonas campestris o marciume nero). Distanza: tra le file cm 60-80 e sulla fila cm 50-70

 

CAVOLFIORE PRIMAVERILE “ALBINO” F1

Ciclo colturale 230-240 dal trapianto. Pianta vigorosa, rustica, sana e molto tollerante al freddo. Le foglie di colore verde molto scuro, hanno un portamento molto eretto ed avvolgente. La forma della testa è a cupola molto uniforme e di ottima qualità. Il peso medio è di oltre 1,5 kg, si trapianta da metà agosto a metà settembre e la raccolta avviene verso il 20-25 di aprile. Distanza sulla fila cm 50-60 e tra le file cm 70-80.

CAVOLFIORE VERDE “TREVI” F1

Ibrido a ciclo di maturazione medio (90 gg dal trapianto). Le teste sono compatte, pesanti e di un ottimo colore verde brillante. La piante sono vigorose, uniformi e coprono le teste proteggendole dal freddo. Eccellente il sapore. Ottima resistenza allo Xantomonas. Alcuni tipi di Xanthomonas causano macchie localizzate o strisce sulle foglie, mentre altri si diffondono per via sistemica e causano marcescenza nera oppure la ruggine della foglia. I batteri di questo genere iniettano nella pianta alcune proteine attivatrici, tra le quali gli attivatori TAL, attraverso il loro sistema di secrezione di tipo III. Si trapianta nel mese di luglio. Distanza sulla fila cm 50-60 e tra le file cm 70-80.

CAVOLFIORE ROMANESCO F1

Ibrido a ciclo di maturazione medio (90-95 gg dal trapianto). La piante sono vigorose e molto uniformi, consistenti di colore verde brillante. Ottime le qualità organolettiche e si trapianta nel mese di luglio. Resistente a Fusarium. Fusarium è un vasto genere di funghi per la maggior parte riconducibile a forme imperfette di Ascomiceti appartenenti al genere Gibberella che si riproducono per conidiospore. Diverse specie, presenti comunemente nel terreno, sono fitopatogene, in genere agenti di marciumi a carico di radici o altri organi sotterranei (tuberi, rizomi, ecc.) o di alterazioni a carico dell'apparato vascolare, comunemente indicate con il termine di tracheofusariosi.Distanza sulla fila cm 50-60 e tra le file cm 70-80.  

CAVOLO DI BRUXELLES “DIABLO” F1

Ibrido a ciclo medio (150 gg dal trapianto) con piante di buon vigore. Ottima uniformità e buona tenuta dei cavolini. Le foglie ben distanziate tra loro proteggono molto bene il prodotto durante il gelo invernale. La maturazione coincide con l’ingiallimento della rispettiva foglia da cui è supportato. Si trapianta da tutto giugno e tutto luglio; la produzione è proporzionale alla precocità del trapianto. Resiste al Fusarium. Fusarium è un vasto genere di funghi per la maggior parte riconducibile a forme imperfette di Ascomiceti appartenenti al genere Gibberella che si riproducono per conidiospore. Diverse specie, presenti comunemente nel terreno, sono fitopatogene, in genere agenti di marciumi a carico di radici o altri organi sotterranei (tuberi, rizomi, ecc.) o di alterazioni a carico dell'apparato vascolare, comunemente indicate con il termine di tracheofusariosi.Distanza sulla fila cm 50 e tra le fila cm 80.

CAVOLO VERZA BIANCA BOLLOSA TARDIVA “SIBERIA” F1

Il cavolo verza viene coltivato soprattutto nell'Italia centrosettentrionale ed è di origine molto antica. Ha foglie rugose verde scuro all'esterno e verde chiaro all'interno (viene anche detto cavolo di Milano).Ibrido tardivo per produzioni invernali resistente al gelo. Le teste, rotonde,compatte di colore verde scuro hanno una bollosità  finissima. Il peso medio è di 1,7 kg. Si trapianta nel mese di luglio. Distanza sulla fila cm 50 e tra le file cm 60.

VERZA BIANCA SAVOY KING “PONY” F1

Per i greci era sacro, mentre i romani lo utilizzavano sia in cucina sia per la cura di varie malattie. In seguito, in Italia, il consumo alimentare del cavolo riprese attorno al Seicento. Si deve anche ricordare che questo ortaggio ha costituito per molti secoli uno degli alimenti principali degli equipaggi delle navi, per rinforzare il regime alimentare durante i lunghi viaggi in mare. Pianta molto vigorosa con ciclo colturale (90 gg dal trapianto) medio precoce. Le teste sono di grosse dimensioni (3-4 kg) con foglie leggermente bollose. Si trapianta da aprile a metà agosto. Distanza sulla fila cm 60 e tra le file cm 70.

VERZA ROSSA “DEADON” F1

Vi sono numerose varietà di cavoli, che presentano poche differenze fra loro per quanto riguarda l'aspetto nutrizionale. Attualmente la sua coltivazione è diffusa in tutto il mondo; i maggiori produttori sono India, Cina, Francia e Italia (principalmente in Abruzzo, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia). Ibrido a maturazione medio tardivo molto resistente al gelo. Si trapianta da maggio a metà agosto e si raccoglie da ottobre a fine aprile. La testa è di buone dimensioni (circa 2-3 kg) e resiste per lungo tempo nell’orto. Si può mangiare sia cotta che cruda. Distanza sulla fila cm 60 e tra le file cm 70.

Il cavolo in cucina.

Un consiglio preliminare riguarda l'acquisto: è importante che le foglie siano fresche, non ingiallite né avvizzite. Possono essere consumati sia crudi sia cotti, ma in quest'ultimo caso viene ridotta la quantità di vitamina C, piuttosto alta, contenuta nel cavolo. Una preparazione particolare di questo ortaggio consiste nella lavorazione delle foglie, con cui si ottiene il cosiddetto "cavolo acido" (i crauti), molto popolare nei paesi dell'Europa del nord. Uno dei problemi legati alla preparazione del cavolo è legato all'odore caratteristico che si produce durante la cottura, causato dall'alto contenuto di zolfo (risolvibile ricorrendo alla pentola a pressione, oppure aggiungendo aceto o limone nell'acqua di cottura). Nel nostro sito sono presenti alcune ricette che vedono il cavolo e il cavolfiore tra gli ingredienti principali, eccole di seguito:

1.- Fettuccine di castagne con verza e costine valdostane.

2.- Spezzatino alla verza

3.- Sedanini, verza e patate.

sedanine, verze e patate

4.- Involtini di verza al prosciutto.

5.- Rotolo di verza farcito con pancetta.

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Un modello per il benessere della persona e la salvaguardia dell’ambiente.

Qual è l’impatto ambientale dovuto alla produzione, alla distribuzione e al consumo dei cibi? Per rispondere a queste domande, il Barilla Center for Food and Nutrition ha ideato il modello della Doppia Piramide Alimentare – Ambientale, strumento che mette in relazione l’aspetto nutrizionale degli alimenti con il loro impatto ambientale.

Un unico modello alimentare nato per tutelare il benessere delle persone e dell’ambiente.

La piramide ambientale nasce studiando e misurando l’impatto sull’ambiente dei cibi presenti nella piramide alimentare, e disponendoli lungo un piramide capovolta, in cui gli alimenti posizionati più in basso (al vertice del triangolo) hanno il minore impatto ambientale. Accostando le due piramidi si ottiene così la “Doppia Piramide” Alimentare-Ambientale, dove si nota intuitivamente che gli alimenti per i quali è consigliato un consumo maggiore, generalmente sono anche quelli che determinano gli impatti ambientali minori. Viceversa, gli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo ridotto sono anche quelli che hanno maggior impatto sull’ambiente.

Il modello alimentare tradizionalmente adottato nei Paesi dell'area del Mediterraneo (in particolare in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Francia meridionale) si contraddistingue per l'equilibrio nutrizionale ed è infatti riconosciuto da molti scienziati dell'alimentazione come uno dei migliori in senso assoluto per ciò che concerne il benessere fisico e la prevenzione delle malattie croniche, in particolare quelle cardiovascolari. Questo è il modello alimentare che è stato preso in considerazione per la costruzione della parte nutrizionale della Doppia Piramide presentata nel 2010.
Mantenendo costante la parte nutrizionale della Doppia Piramide e andando a sostituire quella ambientale con la revisione risultata dalle elaborazioni di questa nuova edizione.

 

Per la costruzione della Doppia Piramide “per chi cresce” è stato utilizzato il medesimo approccio impiegato per realizzare la versione “adulti” affiancando alle solite piramide ambientali, quelle alimentari costruite prendendo in considerazione le esigenze nutrizionali di bambini ed adolescenti. Quando si considerano i bambini, o più in generale persone ancora in fase di crescita (fino ai 20 anni), alcuni alimenti assumono diversa importanza. Le linee guida dell’USDA – United States Department of Agriculture (uno dei riferimenti considerati), suggeriscono una distribuzione diversa delle fonti di proteine – e in particolare di carne – rispetto agli adulti, senza per questo modificare la modalità di lettura della doppia piramide: gli alimenti a basso impatto ambientale sono quelli per i quali è consigliato un maggior consumo. Sintesi delle macro-linee guida per la crescita sana.

  • Adottare una dieta sana ed equilibrata che, alternando quotidianamente tutti i principali alimenti, fornisca tutti i nutrienti e micronutrienti (calcio, ferro, vitamine, ecc.) di cui i bambini e gli adolescenti hanno bisogno.
  • Evitare l’eccessiva assunzione di calorie consumando cibi altamente calorici o con elevate concentrazioni di grassi.
  • Ripartire con equilibrio i nutrienti nella giornata assicurando la presenza di un giusto equilibrio tra apporto di proteine animali e vegetali, di zuccheri semplici e complessi (attraverso l’assunzione di meno dolci, più pane, patate, pasta o riso), di grassi animali e vegetali (utilizzando meno strutto e burro, e più olio di oliva).
  • Ridurre al minimo l’apporto di sale aggiuntivo al fine di diminuire i fattori di rischio di sviluppo di ipertensione, soprattutto in età adulta.
  • Distribuire l’assunzione di cibo in cinque momenti della giornata: colazione, spuntino della mattina, pranzo, merenda e cena.
  • Evitare di consumare cibi al di fuori dei cinque momenti precedentemente individuati.
  • Svolgere attività fisica per almeno un’ora al giorno, comprensiva sia dell’attività sportiva sia del gioco.
  • Ridurre il più possibile la vita sedentaria, in particolare quella passata davanti al video (televisione e computer).

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Attività mirate a migliorare la sopravvivenza delle api per la salvaguardia delle produzioni agricole di qualità: i risultati conseguiti.

Da diversi anni la moria delle api nelle nostre campagne sta assumendo livelli sempre più allarmanti. A seguito di questa situazione, le autorità ministeriali, oltre alla sospensione cautelativa di alcuni insetticidi impiegati nella concia delle sementi di mais, ha sollecitato enti preposti alla ricerca e alla sperimentazione a compiere indagini sulle cause e sugli effetti che, in particolare alcuni  agrofarmaci, esercitano sulla salute delle api. A partire dal 2009, l’Associazione Centro Agricoltura ed Ambiente (CAA), in collaborazione col DiSTA Entomologia dell’Università di Bologna e con l’Unità di ricerca di Apicoltura e Bachicoltura del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA), sta portando avanti un progetto pluriennale mirato a migliorare le sopravvivenza delle api su colture tipiche del nostro territorio.
api
L’indagine è finanziata dall’Assessorato Agricoltura della Provincia di Bologna e dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura della Provincia di Bologna. Nel biennio 2009-2010 sono state condotte ricerche volte a verificare mortalità e comportamenti anomali delle api su coltura di melone sottoposta a trattamenti aficidi, attraverso l’impiego di Thiamethoxam, un insetticida neonicotinoide distribuito con la tecnica della fertirrigazione.
Le prove hanno evidenziato livelli di mortalità nelle api adulte superiori al normale nei giorni immediatamente successivi al trattamento, ma non sono stati rinvenuti residui dell’insetticida su polline e api morte e anche forza della famiglia ed estensione della covata hanno avuto un andamento normale nel corso della prova e nei mesi successivi.
L’insieme delle osservazioni e i risultati di prove analoghe condotte in altre regioni inducono a pensare che l’impatto dei trattamenti insetticidi sia stato mitigato dall’assenza di perdite dalla manichetta d’irrigazione e dalla disponibilità di acqua non contaminata nell’ambiente circostante. Attualmente sono in corso prove analoghe su melone volte a verificare gli effetti sulle api dell’impiego degli stessi insetticidi attraverso l’applicazione fogliare. A partire dal 2009 sono stati inoltre collocati alveari in diverse località della Provincia di Bologna a differente grado di antropizzazione, intensità di pratiche agricole e qualità delle acque superficiali.
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Fino a dicembre 2010 questi alveari hanno costituito, a livello locale, importanti nodi delle rete del progetto “APENET: monitoraggio e ricerca in apicoltura” a diffusione nazionale. Rilievi periodici condotti col supporto di apicoltori ed esperti hanno permesso di studiare i fenomeni di mortalità legati in molti casi all’insorgenza di patologie specifiche. I risultati dei rilievi effettuati sono stati elaborati e confrontati con quelli degli altri moduli della rete di monitoraggio nazionale. Tutte le informazioni ottenute sono state infine rese note attraverso iniziative divulgative previste dal progetto, con la pubblicazione di articoli giornalistici e l’organizzazione di eventi informativi.
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    Lo stile di vita dei nostri giorni è caratterizzato da grande disponibilità di cibo e da una sempre più diffusa sedentarietà che portano a vivere in una situazione di apparente benessere psico-fisico che spesso non corrisponde con lo stato di salute.

Viviamo, quindi, in un’epoca ove all’allungarsi dell’aspettativa di vita si registra anche la crescita del rischio di patologie quali: obesità, malattie metaboliche, cardiovascolari e cancro.

Al fine di orientare la popolazione verso comportamenti alimentari più salutari, il Ministero della Salute ha affidato ad un Gruppo di esperti (D.M. del 1.09.2003) il compito di elaborare un modello di dieta di riferimento che sia coerente con lo stile di vita attuale e con la tradizione alimentare del nostro Paese.

Nasce così la piramide settimanale dello stile di vita italiana che si basa sulla definizione di Quantità Benessere (QB) sia per il cibo che per l’attività fisica. Da questo modello di dieta scaturisce la piramide alimentare italiana, che elaborata dall’Istituto di Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Roma “La Sapienza”, indica i consumi alimentari giornalieri consigliati. Vengono date indicazioni sulle quantità di cibo da consumare ogni giorno secondo il criterio della quantità benessere QB (porzioni di alimenti in grammi). Le QB di cibo e di movimento, se opportunamente adattate alle esigenze del singolo individuo, consentono di orientare lo stile di vita verso un equilibrio tra consumo alimentare e spesa energetica. Se si “mangia per vivere” si è sulla strada giusta per il reale benessere del nostro organismo.

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